Veneto Banca: Consoli ai domiciliari. Sequestrati 45 milioni, 14 indagati. C'è anche l'ex presidente Favotto

All'alba del 2 agosto la Gdf di Venezia ha eseguito un'ordinanza del Gip arrestando Vincenzo Consoli per ostacolo della vigilanza e aggiotaggio. Sotto accusa le operazioni baciate e il danno al patrimonio dell'istituto. Per la Procura fu "operazione fraudolenta"

VENEZIA. Nelle prime ore di martedì 2 agosto i militari della Guardia di Finanza, Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e al Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia, hanno arrestato Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca. Le fiamme gialle hanno proceduto all’esecuzione di un’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Roma, dispondendo gli arresti domiciliari del manager della Popolare di Montebelluna, per i reati di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle Autorità pubbliche di vigilanza ed aggiotaggio.

Ascesa e declino del ragioniere di Matera
La redazione

Le Fiamme Gialle hanno anche eseguito un sequestro che il pubblico ministero aveva disposto in via di urgenza per 45,425 milioni di euro e che "ha consentito di apprendere, in pregiudizio dello stesso Consoli, un immobile il cui valore è stimato in 1,8 milioni di euro, nonché liquidità e titoli.

Tutti gli indagati. Sono state state eseguite perquisizioni domiciliari nei riguardi di 14 indagati. Nel fascicolo di oltre 150 pagine del Tribunale di Roma, tra i nomi spunta adesso anche l'ex presidente dell'istituto l'economista dell'Università di Padova Francesco Favotto, dimissionario dalla banca il 29 ottobre 2015. Con lui anche Flavio Marcolin, responsabile degli Affari societari e legali da marzo 2014 oggi ancora in Banca ma con altro ruolo, Stefano Bertolo orginario di Montebelluna e responsabile della direzione centrale amministrazione da novembre 2008 fino al 2014, anch'egli ancora a Veneto Banca come dirigente preposto, Pietro D'Aguì indicato come "formale acquirente delle obbligazioni bond Tier 1 emesse da Veneto Banca". D'Aguì è stato amministratore delegato e socio storico di Bim, nonchè capofila della cordata che aveva provato pochi mesi fa a ricomprarsi la banca intermobiliare torinese. Poi arrivò lo stop della Bce.

A elenco della Procura anche Gianclaudio Giovannone, torinese e titolare della Mava anch'essa acquirente delle obbligazioni che ha comprato D'Aguì. Anche Giovannone sedeva al salotto buono torinese in qualità di socio Bim. Nelle carte ricompare anche il nome dell'ex presidente di Veneto banca, Flavio Trinca che ha preceduto l'era Favotto, e che già appariva tra gli indagati con Consoli da febbraio 2015. Mosé Fagiani, bergamasco, ex condirettore di Consoli in pensione dal 2015, Massimo Lembo di Verona, già responsabile della compliance ma che l'ad Cristiano Carrus ha messo responsabile delle Politiche del Lavoro salvo poi uscire dall'istituto a fine 2015. Renato Merlo di Montebelluna, che di Veneto banca è stato direttore delle banche estere, non è più a Montebelluna da oltre un anno e tutti gli ex sindaci Diego Xausa e Michele Stiz, Marco Pezzetta, Martino Mazzocato e Roberto D'Imperio.

Sotto accusa le baciate. "L’attività di polizia giudiziaria deriva da un’articolata indagine diretta dalla Procura della Repubblica di Roma e delegata al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e al Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia, grazie alla quale è stata fatta luce su plurime condotte di ostacolo perpetrate in danno di Bankitalia e Consob" aggiungono le autorità.

In particolare sono contestate una serie di operazioni (le cosiddette baciate) in virtù delle quali era la stessa banca a finanziare importanti clienti perché gli stessi acquistassero azioni del medesimo istituto di credito. Il significato economico reale di queste operazioni – celate sotto una veste apparentemente lineare – è chiaro: il cliente “finanziato” deteneva titoli di Veneto Banca per conto della Banca, spiega la Gdf.

L'inganno a risparmiatori e azionisti. "Ciò sarebbe avvenuto anche mediante l’“arruolamento” di compiacenti investitori, spiegano le Fiamme Gialle, disponibili ad intestarsi temporaneamente ingenti quote di obbligazioni subordinate, sollevando la banca dall’onere di detrarne il controvalore dal patrimonio di vigilanza, come invece prescritto dalla Banca d’Italia. Anche in tali casi si trattava, in pratica, di veri e propri “parcheggi” temporanei di titoli che, in realtà, rientravano nella titolarità dell’emittente, Veneto Banca".

"Tutto questo è stato accompagnato dalla concessione di finanziamenti a soggetti in difficoltà economiche, senza un’adeguata verifica della capacità di rimborso da parte dei richiedenti, all’insegna di un diffuso e sostanziale disinteresse del merito creditizio - si legge nella nota emessa dalle forze dell'ordine - L’effetto era di offrire, all’esterno, l’immagine di una solidità patrimoniale dell’istituto ben maggiore di quella effettiva, idonea ad ingannare la platea dei risparmiatori e gli altri azionisti, rafforzando così – secondo la ricostruzione, in modo fraudolento – l’immagine della banca e la fiducia nel management".

Il patrimonio falsato. Inoltre, secondo gli elementi acquisiti dalla Procura di Roma, mediante queste operazioni i vertici di Veneto Banca potevano falsamente rappresentare agli organi di vigilanza, in primis Bankitalia e Consob, una consistenza patrimoniale superiore al reale, così da rientrare nei parametri di sicurezza che la legge esige per gli istituti bancari.

Si tratta della creazione di una situazione di patrimonio “virtuale” che avrebbe poi consentito di fissare il sovrapprezzo delle azioni su valori assai elevati rispetto allo stato dell’azienda.

Veneto Banca: la fuga del 1.570 soci prima del baratro
La redazione

Secondo il "grave quadro indiziario emerso", si legge nella nota, tali condotte hanno determinato l’“annacquamento” del patrimonio di vigilanza della banca, che, secondo le regole della Banca d’Italia avrebbe dovuto essere rettificato in modo da evidenziare il suo valore reale, indicando il vero ammontare dei prestiti ancora effettivamente riscuotibili. Invece, nelle segnalazioni periodiche alla Banca d’Italia, Veneto Banca ha continuato ad indicare un valore del patrimonio di vigilanza sovrastimato rispetto a quello effettivo, "mascherandone la reale consistenza".

Tutto ciò è emerso dalle ispezioni Bankitalia e Consob che hanno portato alla luce l’effettiva situazione dell’istituto. Da qui, riepiloga la Gdf, è emerso il reale valore del patrimonio della Banca e sono state individuate le ipotesi di responsabilità. 

@eleonoravallin

Riproduzione riservata © il Nord Est