Cosa resta del referendum abrogativo sull’autonomia differenziata

Il progetto originario della legge Calderoli è venuto meno. Ci si chiede se la Corte non debba prenderne atto e dichiarare inammissibile anche la richiesta di abrogazione, visto che anche quei presupposti non esistono più

Sergio BartoleSergio Bartole
Cassazione, Consegna delle firme per il referendum per l'abrogazione della legge sull'Autonomia differenziata
Cassazione, Consegna delle firme per il referendum per l'abrogazione della legge sull'Autonomia differenziata

Sì al referendum sull’autonomia differenziata, scrivono i giornali con soddisfazione dei promotori. Si parla di una delle due iniziative di referendum promossa con alto numero di firme per l’abrogazione della legge 86 con disposizioni per l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ex art. 116, terzo comma Costituzione, iniziativa ritenuta dall’Ufficio centrale per il referendum conforme ai requisiti in vista dell’ulteriore corso. Ma non è così per la concorrente iniziativa di 5 Consigli regionali, ritenuta non conforme alla legge dallo stesso organo.

Conviene soffermarsi su questa differenza per comprendere lo stato odierno della vicenda referendaria in materia di autonomia differenziata.

La Corte costituzionale ha ritenuto illegittime molte disposizioni della legge in oggetto, vanificando il sotteso progetto del legislatore. L’Ufficio per il referendum ha verificato gli effetti della sentenza, cioè se per ipotesi essa non renda inutile la procedura referendaria, facendone venir meno l’oggetto. Al riguardo giova ricordare che quella legge è in sostanza divisibile in due parti: da un lato essa regola la procedura delle intese fra Stato e Regioni interessate all’autonomia differenziata, dall’altro determina i tratti della differenziazione, dei nuovi poteri e del regime finanziario da riconoscere alle Regioni con le quali le intese vengono stipulate.

Orbene, di queste due facce della legge la Corte costituzionale ha nullificato la seconda, conservando invece in vita quasi nella sua interezza quella riguardante la procedura di formazione delle intese. Se si considera che l’iniziativa dei Consigli regionali interessava proprio la parte sui contenuti del regime speciale di autonomia, si deve concludere che l’Ufficio della Cassazione l’ha ritenuta non conforme alla legge per mancanza di oggetto, concludendo per l’esaurimento della relativa iniziativa.

Nel caso dell’iniziativa referendaria degli elettori, si è tenuto conto del fatto che essa riguardava l’intera legge 86, la quale - anche dopo la sentenza della Corte costituzionale - resta pro parte in vigore, per cui la richiesta degli elettori continua ad avere un oggetto in sostanza identificabile con la regolamentazione delle intese.

Della conformità di questa richiesta alla disciplina costituzionale deve ora occuparsi la Corte costituzionale. Contrariamente all’avviso dei sostenitori della legge, il loro progetto di autonomia differenziata è venuto meno. Ci si chiede se la Corte non debba prenderne atto e dichiarare, partendo dalle intenzioni dei promotori, inammissibile anche questa richiesta referendaria, in quanto a quelle intenzioni non corrisponde più, giacché proprio i progettati contenuti dell’autonomia differenziata si volevano colpire.

Se, però, ciò che conta è l’attuale vigenza della legge, benché dimezzata dalla Corte costituzionale, a questa sarebbe precluso un ragionamento sulle intenzioni dei promotori del referendum e spetterebbe aprire la strada a una decisione degli elettori sulla abrogazione o meno delle norme procedurali che lo stesso giudice ha ritenuto conformi a Costituzione escludendone, però, la necessità costituzionale che renderebbe inammissibile il referendum.

Se ritenuto ammissibile, otterrebbe il referendum il quorum di votanti necessario per conseguire l’abrogazione? 

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