Allarme del Cuamm: Africa senza aiuti

Stop a cure e assistenza a causa del repentino taglio dei fondi voluto da Trump e Musk

Francesco Jori
Don Dante Carraro del Cuamm
Don Dante Carraro del Cuamm

Il marchese del Grillo a stelle e strisce, versione Usa: «Perché io so’ io e voi non siete un c...». La decisione di Donald Trump di troncare dalla sera alla mattina i fondi per gli aiuti umanitari è l’indicatore più significativo di una scelta di campo ispirata al mantra dell’America first; dietro al quale si annida in realtà un delirante «Io first». Della serie: il padrone sono io, gli altri non contano; e se per caso sono poveri, peggio per loro.

La dimostrazione più evidente sta proprio nel blocco delle risorse gestite dal 1961 dall’Usaid, l’agenzia creata dall’allora presidente John Fitzgerald Kennedy: 42 miliardi di dollari lo scorso anno (comunque meno dell’1 per cento del bilancio federale), utilizzati per combattere l’Aids, curare malattie, far fronte a epidemie, garantire beni di base come acqua ed elettricità, combattere le dinamiche della fame che oggi colpisce ancora nel mondo oltre 800 milioni di persone.

La ricaduta è drammatica, e lo spiega in modo eloquente don Dante Carraro, responsabile del Cuamm: «La differenza passa tra il potersi curare e il rischiare di morire».

La sua è una testimonianza in presa diretta, avendo appreso la notizia proprio mentre si trovava in uno dei nove Paesi dell’Africa subsahariana (la più martoriata del continente) che l’organizzazione padovana assiste da 75 anni (Cuamm sta per Collegio universitario aspiranti medici missionari); con la conseguenza di dover bloccare ogni attività.

Demenziale il motivo spiegato dal badante economico e guru riverito di Trump, super Elon Musk: quei soldi andavano «un covo di vipere di estremisti comunisti». Tali sarebbero, per la sua sorprendente e spiazzante chiave di lettura, le decine di migliaia di persone impegnate nel mondo per gli aiuti umanitari; inclusi i medici, infermieri, volontari che operano con il Cuamm per curare malattie, salvare vite, garantire parti sicuri, combattere la malnutrizione, formare personale; in una parola, per garantire alle fasce più deboli il diritto alla salute.

Nella sua brutalità, la scure di Donald Trump solleva una riflessione di carattere più generale che riguarda l’intera Africa: il più giovane dei continenti, con un’età media di appena 19 anni, e con una popolazione destinata a raddoppiare nei prossimi 25 anni fino ad arrivare a due miliardi e mezzo di persone; ma anche l’epicentro delle grandi ingiustizie planetarie, con quasi 14 mila bambini sotto i 5 anni che muoiono ogni giorno, tre milioni di persone che soffrono la fame nella sola area subsahariana, 600 milioni di individui privi dell’energia elettrica, e 400 milioni che non dispongono di acqua potabile. E con una media per abitante di meno di due dollari al giorno per tirare a campare.

Un autentico e terribile scandalo, per il quale l’Occidente ha responsabilità precise, e non da oggi. A chi sostiene la tesi dell’«aiutiamoli a casa loro», andrebbe ricordato che per secoli la realtà è consistita nel «deprediamoli a casa loro», sottraendone le risorse, a partire da quelle umane attraverso il disumano business della schiavitù.

Una spoliazione senza freni che oggi continua, seppure sotto altre forme, come ha ammonito due anni fa da Kinshasa papa Francesco: «Giù le mani dall’Africa, non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare».

Dalla Casa Bianca Trump gli ha appena risposto a modo suo, senza farsi troppi scrupoli; gli altri invece tacciono, ma perseverano. Tanto il conto alla fine lo pagano gli africani, con un costo peggiore della morte stessa, come spiega un proverbio tradizionale etiope: «Morire non è una catastrofe, la catastrofe è dover morire affamati». 

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