L’alleanza dei vice: Salvini cerca Vance per ritrovare il consenso smarrito
Il leader della Lega cerca la sponda statunitense per sognare in grande e affermarsi sul palcoscenico internazionale. Una mossa che appare un azzardo

Salvini è tornato a sognare in grande. Molto in grande, visto che l’arena prescelta è quella delle relazioni internazionali. Proponendo, però, uno schema già utilizzato sul piano domestico: in Italia. E che questa volta gli serve anzitutto in casa propria, cioè dentro la Lega.
I leader che sono stati inebriati dal successo tendono a replicare, ciclicamente, le formule che li hanno portati in alto. Nel caso di Matteo Salvini, il momento magico è indubbiamente quello del Conte I. Quando, da iperattivo e onnipresente vicepremier, riuscì a oscurare il presidente del Consiglio e gli alleati 5 stelle. Portando così la Lega dove non era mai stata, almeno in termini di peso elettorale.
Pur cambiando dicastero – dall’Interno ai Trasporti –, il segretario ha ora recuperato il ruolo di vice. Ma non certo la spinta della stagione vice-presidenziale. Giorgia Meloni tiene saldamente il timone del governo. FdI vola nei sondaggi. Mentre la Lega rimane inchiodata all’8-9%. Incapace di imporre i propri temi. Un po’ perché sono stati incorporati nel progetto di FdI. Un po’ perché altre battaglie identitarie, in particolare quella sull’autonomia differenziata, non sono al centro del progetto “nazionale” di Meloni, che in fondo coincide proprio con quello di Salvini.
Tra grandi opere che non partono, scioperi e guasti alle linee ferroviarie, la situazione si è fatta allora delicata per il leader leghista. Anche all’interno del partito. In particolare, nel rapporto con la tradizionale base padana, ormai alla vigilia del congresso che si celebrerà a inizio aprile. Sebbene per ora i possibili avversari non si siano fatti avanti, dentro una formazione fortemente personalizzata, la frenesia di Salvini si spiega anche così.
Il successore di Umberto Bossi e Roberto Maroni cerca allora spazio concentrandosi sulla politica internazionale: l’unico palcoscenico che garantisca ancora una certa visibilità, in questa fase di turbolenze globali. E una finestra di opportunità per insidiare Meloni, chiamata a esercizi di equilibrismo tra le due sponde dell’Atlantico.
Salvini, al contrario, non ha limiti posti dal ruolo istituzionale: più precisamente, non se li pone. Ha da tempo individuato in Donald Trump l’ideale traino. Dopo lungo inseguimento, sembra essere finalmente entrato nelle grazie dell’amministrazione statunitense. Brilla nei sondaggi demo-distopici su X (Twitter) di Andrea Stroppa, emissario di Elon Musk in Italia. Questa settimana, finalmente, il contatto diretto con Washington, nella telefonata con l’altrettanto attivo vice J.D. Vance. Che “salta”, con una sola mossa, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, premier e ministro degli Esteri.
Semplice confronto tra “pari-ruolo” (tra molte virgolette)? Oppure promozione a interlocutore privilegiato nel governo Meloni, più fidato garante degli interessi del potere politico-economico-tecnologico in Italia (vedi la partita sui satelliti), autentico riferimento dell’internazionale sovranista a Roma?
Salvini si augura che il riconoscimento internazionale e l’effervescenza del suo “omologo” a stelle e strisce – probabilmente già lanciato verso il dopo-Trump – gli restituisca un nuovo abbrivio.
Ma puntare tutto sulla sponda americana appare un azzardo. Per lui e per il Paese. L’azzardo di chi deve cercare “fuori” il consenso smarrito in Italia.
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