Autonomia differenziata, un dibattito dove la realtà scompare

L’approccio propagandistico della campagna elettorale permanente tra iperpersonalizzazione e polarizzazione genera prorprio questo fenomeno: il dato di fatto scompare sotto le schermaglie politiche

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari

È arrivato il “fatidico” giorno del giudizio – in senso letterale – sull’autonomia differenziata. Dopo il deposito delle motivazioni della sentenza numero 192 della Consulta sulle questioni di costituzionalità della legge bandiera della Lega, si è (ri)aperto il dibattito tra le forze politiche.

L’interpretazione dell’«ardua» (e lunga) sentenza spetta ora agli uffici della Regione Veneto, dalla cui sede Luca Zaia ha prontamente fatto circolare un video nel quale ribadisce la sua linea sulla «posizione costruttiva» della Corte costituzionale, nella quale gli è parso di vedere un gancio robusto a cui attaccare il percorso di devolution.

«Cicero pro domo sua» è una regola inossidabile della politica, con il partito di Matteo Salvini e dei suoi governatori (per una volta davvero d’accordo) che ha l’assoluta necessità di rivendicare il “bicchiere mezzo pieno” su un assai – discutibile – provvedimento identitario. E, pertanto, anche un fronte di scontro durissimo con il centrosinistra, come pure una linea di frattura all’interno della maggioranza, in primo luogo con Forza Italia.

Anche le barricate fanno parte, va da sé, del repertorio della politica; e vengono moltiplicate in maniera esponenziale dalla tendenza sempre più spinta alla polarizzazione, strettamente collegata alla personalizzazione di leadership che, dal punto di vista oggettivo, si rivelano alla fine meno forti dell’immagine esterna proiettata. E che, proprio per questo, avvertono il bisogno costante di “chiamare alla pugna” i propri simpatizzanti, per mobilitarli specialmente in vista dei tanti appuntamenti elettorali che caratterizzano la politica italiana.

Si tratta dell’approccio propagandistico della campagna elettorale permanente che, nel combinato disposto con l’iperpersonalizzazione e la polarizzazione (affettiva ancor più che ideologica), genera il fenomeno che potremmo chiamare della “scomparsa della realtà”. Difatti, come sta avvenendo per vari altri aspetti del discorso pubblico, quando c’è di mezzo la battaglia politica la realtà scompare. O, per meglio dire, il dato di fatto rimane, eccome, ma viene talmente sepolto sotto le schermaglie polemiche e le cortine fumogene generate dalle armi comunicative di distrazione di massa da risultare irriconoscibile “a occhio nudo”. E si instaura così quello che un filosofo del secondo Novecento, Cornelius Castoriadis, aveva definito il «regime dell’equivalenza»: l’interscambiabilità delle opinioni, che prescinde dal richiamo al dato e ai fatti.

Esattamente come avviene nei talk show tv, primarie fonti di informazione, dove lo spettacolo non di rado prevale a scapito del piano di realtà e la logica prevalente coincide con quella dell’intrattenimento.

Un ospite dice “A”, l’avversario dice “B”, e le loro opinioni si equivalgono, incontrando il favore pregiudiziale dei vari spettatori. I politici sanno, infatti, di rivolgersi a settori fidelizzati di elettorato, ancora più dopo l’ingresso dell’Italia nell’era dell’astensionismo di massa; e dunque solleticano i loro bias preconcetti, i quali fanno sì che moltissimi cittadini si rivelino indisponibili a prendere in considerazione punti di vista alternativi alle proprie granitiche convinzioni. E così si celebra, ahinoi, il funerale della verità nella vita pubblica. 

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