Caso Sala, liberato l’ingegnere iraniano: scelta politica, non giuridica

Lo scambio di detenuti chiude la vicenda e crea inevitabilmente un precedente. La diplomazia italiana ha vinto. Resta il debito con gli Usa: Trump lo reclamerà

Renzo GuoloRenzo Guolo
La stretta di mano tra Cecilia Sala e la premier Giorgia Meloni
La stretta di mano tra Cecilia Sala e la premier Giorgia Meloni

Mohhamed Najafabai Abedini, il controverso “uomo dei droni” reclamato con tanta insistenza dagli americani prima dello strumentale arresto di Cecilia Sala, è stato liberato ed è già a Teheran. Si chiude così la vicenda che legava le sorti dell’ingegnere iraniano a quella della giornalista italiana, a sua volta rilasciata qualche giorno fa dal carcere di Evin.

Finale di partita concordato, che conferma la natura dello scambio, tutto politico, tra Italia e Iran con tanto di avallo americano: quello, a denti stretti, dell’uscente “anatra zoppa” Joe Biden; quello spiccio, ma sostanziale, di Donald Trump, che voleva tutto risolto in tempo per non intralciare per il suo insediamento.

Non certo senza contropartita: il nuovo inquilino della Casa Bianca è interessato, più che a posizioni di principio o al tipo di “lotta al terrorismo” condotta dai democratici, a solide relazioni con Roma, pensata come avamposto delle proprie posizioni nell’invisa Europa. Cambiale che The Donald non mancherà certo di incassare.

Giunti al nocciolo della questione, lo scambio di detenuti, tutto il resto era sistemabile: motivazioni giuridiche comprese. In casi simili, infatti, il diritto viene “sospeso”.

Ma in uno Stato di diritto le decisioni devono essere pubbliche e motivate. Così la decisione del ministro della Giustizia di scarcerare immediatamente Abdedini, senza nemmeno attendere l’imminente pronuncia dei giudici di Milano - possibilità prevista dall’articolo 718 del Codice di procedura penale -, impone al ministero di illustrare le ragioni di tale scelta.

Tanto più perché una simile decisione fa sorgere l’interrogativo sul perché Roma si sia comportata in maniera diametralmente opposta nelle convulse ore in cui gli Usa esigevano l’arresto di Abedini, gravato da accuse destinate a spalancargli, seppure per pochi giorni, prima del suo trasferimento a Opera, le porte del carcere di Rossano Calabro, dove vengono reclusi detenuti legati al terrorismo di matrice islamista.

In una nota ufficiale, il ministero della Giustizia riconosce che l’estradizione è possibile solo in presenza di reati previsti da Italia e Usa, condizione che «agli atti, non può ritenersi sussistente».

Nella stessa nota di via Arenula si afferma che la violazione delle sanzioni Usa contro l’Iran non è punibile nell’ordinamento italiano; e che mancano gli elementi per provare che Abedini abbia fornito tecnologia, potenzialmente dual use, ai Pasdaran, oppure abbia dato vita a un’associazione a delinquere per sostenere quella stessa organizzazione. Affermazioni che, nonostante le sottigliezze linguistiche, paiono riconoscere che le obiezioni avanzate da Teheran non fossero infondate. In punta di diritto, dunque, tutto è risolto e quello che per gli Stati Uniti era un «pericoloso terrorista» viene liberato. Il caso è chiuso!

Il positivo esito della trattativa tra Roma, Teheran e Washington, è stato possibile per una serie di interessi convergenti: la debolezza strategica iraniana dopo la crisi dell’Asse della Resistenza, la necessità di Teheran, che nella circostanza plaude alla “ cooperazione “ con Roma, di non tagliarsi i ponti con l’Italia, Paese che potrebbe diventare utile nel caso la crisi del regime precipitasse per effetto di nuove sanzioni americane oppure per un attacco preventivo di Israele, l’autocandidatura dell’Italia guidata da Giorgia Meloni ad alfiere dell’America trumpiana in Europa, la scelta dello stesso Trump di non lasciarsi vincolare dalle decisioni dell’amministrazione Biden, verso la quale proclama una totale discontinuità. Tutto questo ha reso possibile lo scambio tra Abedini e Sala.

Ogni tentativo di motivare giuridicamente una scelta eminentemente politica lascia il tempo che trova. Basta saperlo e non ricamarci troppo sopra. Anche se sarebbe ingannevole nascondersi che si tratta di un precedente destinato, comunque, a lasciare un segno, difficilmente ignorabile in casi analoghi.

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