Da Tony Effe a Renzi, il centrosinistra è rimasto senza voce
La strategia dell’opossum certo non aumenterà la competitività dei partiti progressisti
Sono silenzi che si sentono quelli recenti del centrosinistra. Perfino assordanti. Alcuni più leggeri, altri più seri, ma gli uni come gli altri rappresentano dei segnali inequivocabili dell’incapacità di dettare l’agenda pubblica da parte di quello che, nella fase attuale, sarebbe più opportuno chiamare il sinistracentro.
Il silenzio che fa più rumore, in questi giorni, riguarda la mancata presa di posizione di Elly Schlein sulla querelle fra Roberto Gualtieri e Tony Effe, che si sta massicciamente risolvendo a favore del secondo, il cui controconcerto al Palasport dell’Eur ha già ottenuto il tutto esaurito.
Per mettere in fila le cose, va detto che il gesto del sindaco di Roma si è rivelato assai maldestro, ma non sta esercitando nessunissima censura, che è una cosa differente dal disaccordo intorno alle parole sessiste di cui abbondano i testi di questo cantante (e, in generale, della sua sottocultura musicale, ancorché di successo).
Il problema per Gualtieri, e di riflesso per la segretaria del Pd, è che la vicenda si è convertita in un caso politico in piena regola, dal momento che la richiesta di disdire la presenza del rapper è venuta – senza la relativa valutazione dell’effetto domino – da alcune dirigenti dem, e si è saldata con l’ennesimo regolamento di conti fra le mai domate correnti del partito della capitale.
E vi sono anche altri silenzi, squisitamente di natura politica (nella declinazione giudiziaria), che raccontano delle perduranti difficoltà di trovare dei “collanti coalizionali” adeguati. Quelli di Avs e del Movimento 5 Stelle (nonché di molti esponenti dem) – con la sola eccezione di Carlo Calenda (la nemesi)– dopo la notizia del proscioglimento di Matteo Renzi e degli altri dirigenti di Italia Viva indagati nell’inchiesta sulla Fondazione Open.
E, ancora, quelli – al netto delle (logiche e ovvie) dichiarazioni sul fatto che le sentenze vadano rispettate – sull’assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms (chiaro segno di impreparazione nella costruzione di una linea comunicativa alternativa a quella della colpevolezza del ministro). E poi i silenzi – in questo caso obbligati dal vocio intollerante di una minoranza rumorosa – di tanti esponenti di rilievo della sinistra nella chat creata da Massimo Giannini lo scorso 25 aprile, al punto da indurre lo stesso giornalista e opinionista tv ad abbandonarla.
Tutta questa afasia diffusa fra i leader del campo largo, con particolare riferimento alle questioni di programma e ad alcuni passaggi della vita pubblica in cui il governo Meloni non si trova di fronte un’opposizione incisiva, è stata puntualmente notata – e lamentata – anche dallo stesso Romano Prodi.
La “strategia dell’opossum” (e del silenzio), a dispetto delle convinzioni di qualcuno, non aumenterà di certo l’agibilità e la competitività dei partiti progressisti. E dire che i temi su cui sarebbe opportuno fare sentire la propria voce li evidenzia direttamente con i suoi interventi il presidente Sergio Mattarella – dalla difesa dello Stato di diritto alla minaccia dei monopoli digitali per la democrazia rappresentativa –, il quale si conferma, una volta di più, un pensatore autentico del costituzionalismo liberaldemocratico, oltre a essere il custode istituzionale della nostra Carta fondamentale. —
Riproduzione riservata © il Nord Est