Il ciclone Trump sta travolgendo l’Occidente: l’Europa ha le forze per non cedere

Tentare un negoziato è corretto, ma illusorio: guai disgregare il fronte continentale. Il vero ideologo della svolta? Il vicepresidente Vance

Renzo GuoloRenzo Guolo

I dazi di Donald Trump non rappresentano solo l’inizio di una dura guerra commerciale finalizzata, secondo l’inquilino della Casa Bianca, a ripristinare «l’indipendenza economica dell’America saccheggiata per anni da amici e nemici». È molto di più di questo, pure non irrilevante dal momento che quelle misure mettono fine alla globalizzazione così come si è venuta a configurare dopo l’ingresso della Cina nel WTO.

A questi livelli, e con questo approccio, i dazi sono anche ordinatori di potenza, mirati a ri-gerarchizzare l’ordine mondiale in una logica consona alla nuova, brutale, Era degli Imperi. Un tempo, quello in cui il mondo è scaraventato dal trumpismo di ritorno, in cui il tratto di fondo non è cooperativo e multilaterale, ma segnato da attori che si impongono in nome di una rivendicata supremazia nazionale.

Nel sovranismo a stelle e strisce il potere perde la sua dimensione soft power – capace di garantire legami attraverso l’interdipendenza e la proposizione di una dimensione valoriale condivisa –, per mostrarsi nella sua altra dimensione: quella hard, dura. Si tratti di dazi, di rivendicare il possesso della Groenlandia, di giungere a un’intesa con la Russia che fa strame non solo dell’Ucraina, ma anche dell’Europa che l’ha sostenuta su impulso di Joe Biden. Una visione del mondo che cambia il panorama globale perché declina la politica Usa nella logica delle decisioni adottate senza tenere conto di quello che, sino a qualche mese fa, si poteva ancora chiamare Occidente: concetto più vasto e complesso di quello strettamente geopolitico. La cosiddetta «liberazione dell’America» annunciata da Trump, coincide anche con la palese rottura del legame transatlantico: una vera e propria cesura nella storia che abbiamo conosciuto dal secondo dopoguerra a oggi. Sintetizzata nell’espressione trumpiana, rivolta agli europei: «Ci avete derubato per anni».

Di fronte a questo cataclisma, che potrebbe rivelarsi di breve periodo se le scelte protezionistiche portassero a una forte inflazione, oppure a inaugurare un lungo ciclo politico che avrebbe come cardine il vicepresidente J.D. Vance, assai più dell’uomo d’affari e pokerista Trump il vero ideologo della rivoluzione conservatrice americana, l’Europa ha solo una strada: mettere in campo la sua notevole potenza economica.

Certo, le contromosse non devono essere rigidamente automatiche, un tentativo di negoziazione va in ogni caso percorso: ma non su base bilaterale. L’importante per l’Europa è che sia mantenuta compattezza. Se la Ue viene indebolita da Paesi a guida sovranista, tentati dal cercare una soluzione caso per caso, la strategia è destinata inesorabilmente a fallire – e con essa, forse, la stessa Unione. Senza, peraltro, produrre risultati significativi. Perché i sovranisti sono sempre sovranisti: a ogni latitudine e in ogni circostanza. Possono proclamarsi solidali, ma guardano essenzialmente a casa propria: tanto più quelli impegnati a «fare di nuovo grande l’America».

Al di là delle consuete rassicurazioni formali, a contare sono le parole come quelle pronunciate a Monaco, nonché in una recente chat da Vance: «Odio salvare l’Europa». Presto il vicepresidente Usa incontrerà Giorgia Meloni a Roma: inutile e pericoloso illudersi su trattamenti preferenziali in nome di affinità ideologiche tra leader. Mettere in crisi l’unità europea, e dunque gli interessi italiani, in nome di alleanze ormai infrante unilateralmente sarebbe esiziale.

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