Dazi e clima, Europa disarmata con Trump
La crisi del Wto coincide con il tramonto del multilateralismo e difficilmente si potrà riavviare un meccanismo congelato dalla volontà politica degli Usa
In questi giorni molti ripercorrono i tempi della prima amministrazione Trump per concludere che, a conti fatti, l’Italia non ha accusato effetti particolarmente dannosi dai dazi a suo tempo introdotti. L’analisi è in parte vera, ma le due situazioni non sono sovrapponibili, sia perché la minaccia è più estesa sia perché nel frattempo il mondo è cambiato e l’Europa, oggi, è più vulnerabile di allora.
Per l’Europa, la minaccia di appellarsi al Wto (Organizzazione mondiale del commercio) contro i nuovi dazi Usa è affievolita, poiché il sistema di risoluzione delle controversie è da tempo bloccato per il veto degli Stati Uniti e, nonostante le aspettative riposte nell’amministrazione Biden, in questi anni non si sono fatti passi avanti. In un mondo sempre più frammentato in grandi blocchi e con un commercio internazionale tornato ai numeri della guerra fredda, la crisi del Wto coincide con il tramonto del multilateralismo e difficilmente si potrà riavviare un meccanismo congelato dalla volontà politica degli Usa, ormai evidente nella continuità delle scelte di due amministrazioni di segno opposto.
Se è vero che la minaccia di usare la forza rappresenta una buona strategia per la trattativa, l’Overseas development institute segnala però che l’Unione europea attualmente ha le armi spuntate, di fronte al piano di introdurre dazi generalizzati sui prodotti Made in EU, come ha annunciato il presidente Trump al Forum di Davos. Mancano idonei strumenti di difesa commerciale di ritorsione: le misure che attualmente l’Europa può adottare alle frontiere sono settoriali e disegnate sulle regole del Wto e manca un meccanismo di tutela da attivare rapidamente di fronte all’adozione di dazi indiscriminati.
Altro tema strategico riguarda le politiche di sostenibilità ambientale: con l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, decisa da Trump nei giorni scorsi, l’Europa è più sola nel perseguimento della neutralità climatica e molte delle scelte degli ultimi anni, dal bando ai motori termici alla tassazione ambientale, andranno aggiornate al nuovo quadro internazionale. Alcune normative, come quelle sulla deforestazione e il Cbam (un sistema di tassazione delle emissioni inquinanti all’estero) se da un lato mirano a invertire la rotta nei modi di produzione, dall’altro rischiano di rendere meno competitive le imprese europee, se portate avanti solo dall’Europa.
Rispetto ai primi anni 2000, il peso dell’Unione europea sul Pil globale è sceso dal 26 al 18%, mentre quello degli USA è rimasto invariato al 26% e quello della Cina è quadruplicato al 17%. La perdita di quote di mercato dell’Europa è ascrivibile a una serie di fattori, analizzati nel rapporto Draghi, il quale indica la necessità di rilanciare la competitività con investimenti europei, specie nei settori caratterizzati da una forte innovazione. La scossa di Trump potrebbe essere utile per riavviare un progetto di rilancio dell’Unione europea, anche nell’ottica di abbandonare l’attuale eccesso di regolamentazione, come le 350 normative da applicare soltanto nel settore degli scambi internazionali. —
* Avvocato, Docente diritto doganale MDT Università Bocconi
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