La risposta culturale ai dazi di Trump: attraiamo i cervelli in fuga dagli Usa
Scienziati e ricercatori spaventati dalla svolta sovranista vanno invogliati a venire in Ue: Bruxelles dovrebbe creare in fretta un fondo mirato e dotato di 10 miliardi di euro.

Donald Trump è un ciclone che sta travolgendo molte cose, alcune delle quali sono quelle che hanno fatto degli Stati Uniti il grande Paese che è. A renderli attrattivi per i talenti di tutto il mondo, dai tempi della fuga degli scienziati e degli intellettuali dall’Est Europa sovietizzata e dall’Europa occidentale nazifascista, a quelli più recenti degli studenti e degli scienziati più brillanti da Europa, Cina, India e da ogni parte del mondo, sono stati certo le risorse del Paese più ricco, con un sistema finanziario capace di sostenere l’innovazione, ma anche e in molti casi soprattutto l’apertura, le libertà, lo stato di diritto. La ricchezza resta, anche se le politiche di Trump potrebbero metterla a rischio, ma l’apertura si è trasformata in chiusura e percepibilmente a rischio sono le libertà, lo stato di diritto, il rispetto per le diversità.
È probabile che questo cambiamento di contesto renda molto più difficile per i talenti del mondo riuscire ad accedervi, ed è possibile, anzi probabile, che per molti di quelli che ci sono l’aria diventi meno respirabile, che si sentano meno a loro agio, che forse desiderino trovare un altrove dove in serenità portare avanti la ricerca ed esprimere capacità di innovazione.
Finora l’Europa non è stata capace di essere attrattiva come gli Usa, per la chiusura burocratica delle strutture accademiche e di ricerca e per l’incapacità del sistema finanziario di sostenere l’innovazione. Ma l’Europa offre oggi quello che l’America di Trump sembra mettere a rischio, e la presidenza Trump le dà una opportunità storica, quella di proporsi come la nuova meta ideale per chi vuole ricercare e innovare in libertà, ma anche vivere dove i diritti e le diversità siano rispettate.
Tuttavia, perché ciò accada quei limiti di cui sopra devono essere rimossi, ci vuole un progetto semplice e concreto perché l’Europa sia un posto dove uno scienziato e un tecnologo vogliano venire.
Non è realistico pensare che in breve tempo le torri d’avorio delle nostre università si trasformino alla stregua di Stanford, Berkeley o il MIT: non succederà. Più pragmaticamente, ed è questa la proposta, l’Unione Europea potrebbe creare un fondo ben dotato, per esempio inizialmente 10 miliardi di euro, per finanziare progetti di ricerca, vagliati con gli stessi criteri con i quali vengono valutati negli Stati Uniti – e questo è molto importante nel nostro burocratico continente – anche controllati e rendicontati come negli Usa, di scienziati che decidano di provare a portarli avanti in Europa, e di canalizzarli attraverso le università e i centri di ricerca pubblici o privati dove quegli stessi scienziati ritengano di poterli meglio sviluppare, garantendo risorse adeguate a lungo termine e al di fuori dei vincoli burocratici e di carriera che ingessano quel mondo.
Al contempo Bruxelles dovrebbe stimolare istituzioni bancarie, finanziarie e gruppi imprenditoriali a creare quattro o cinque consortili gestiti da manager con le competenze giuste per investire nell’industrializzazione delle innovazioni prodotte da quei progetti. Si tratterebbe di investimenti a rischio elevato e i vincoli dovrebbero essere minimi per favorire l’assunzione di rischio, che però sarebbe ripartito tra numerosi soggetti investitori e tutti con le spalle grosse.
Nel giro di qualche anno si diffonderebbero le competenze e si creerebbe un ambiente adatto al moltiplicarsi dei fondi privati interessati a investire nell’innovazione. Basterebbe rompere qualche muro, neanche quelli maestri, e l’Europa, chissà, potrebbe diventare la nuova America.
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