Con i dazi di Trump prove di recessione globale

Quello della Casa Bianca è un atto incosciente, dalle conseguenze scontate. Per rivalersi, ora l’Europa deve anche dialogare con gli altri attori globali

Marco Zatterin
Un trader corre dentro Wall Strett
Un trader corre dentro Wall Strett

Trump ha promesso che, con i dazi, l’economia «avrebbe fatto il botto». Così è stato. Le Borse mondiali sono precipitate e ora gli economisti, compresa l’americana Fed, lasciano immaginare una recessione globale. Era inevitabile. Può non piacere, ma da 35 anni la produzione e la distribuzione del reddito a livello planetario sono fondate su scambi multilaterali.

Se una forza rilevante inceppa gli ingranaggi, le conseguenze sono scontate. I ricchi saranno un po’ meno ricchi e i poveri più poveri; i pinguini delle isole Heard and McDonald, non si sa. Con una aggravante. Per parafrasare Walter Matthau in “Appartamento al Plaza”, il presidente degli Stati Uniti è «irritante perché commette anche gli sbagli nel modo sbagliato».

I dazi di Trump e quella formula (molto) dubbia, spiegati bene
La redazione

Quanto successo giovedì 3 aprile alla Casa Bianca è un atto incosciente che viola ognuna delle ragioni fra quelle che, sinora e non senza difficoltà, hanno governato l’ambiente antropico. Le discussioni su questo finiscono qui.

Crollano i titoli. Riecco l’Orso, come non si vedeva dal tempo del Covid. A New York la guerra dei dazi è già costata 10 mila miliardi, Milano ha perso come dopo l’11 settembre. Gli gnomi rispondono con le vendite all’incertezza, circostanza che in questa fase è facilitata dal fatto che, ancora venerdì 4 aprile, gli indici erano più alti di un anno fa. L’esperienza dice che i listini torneranno a salire, presto o tardi. Nel frattempo ci saranno vittime, colpite dal capriccio di un immobiliarista s/pregiudicato, chiamato a guidare lo Stato più indebitato della Terra, che ha perso il senso di ogni storia a parte la sua.

Era molto che così pochi non facevano così tanto male a così tante persone. Eppure possiamo coltivare un sogno. The European House Ambrosetti stima che sia minacciato direttamente il 2,2% dell’export italiano nel mondo, il Paese meno dipendente dalla domanda estera nell’Unione. La Commissione Ue rivela che un quinto del prodotto continentale attraversa l’Atlantico. Il colpo è duro, non mortale.

Il desiderio di trattare con un Paese che si ritiene storicamente alleato è nel Dna europeo, pertanto il dialogo non deve interrompersi. Detto questo, non si può fare troppo i signori coi bulli. Per quanto rilevanti, gli Usa hanno un numero ridotto di amici e sodali, non tutti raccomandabili (vedi Putin). L’Europa deve rivalersi sul motore a stelle e strisce alzando qualche barriera e coordinandosi, anche temporaneamente, con gli altri attori degli scambi globali.

C’è chi suggerisce un’intesa a basso dazio e a termine con Cina, Giappone, Canada, Corea del Sud e Africa; la ciliegina sarebbe l’immediata firma del trattato col Mercosur. I governi devono dare una mano a chi cercherà di aiutarsi. Il dollaro come valuta di riferimento complica lo scenario, ma se i “daziati” di Trump facessero quadrato per rispondere, il contraccolpo sarebbe micidiale.

Una coalizione di volenterosi (della crescita) potrebbe rovinare i weekend golfistici di The Donald, l’uomo che si ritiene salvato da Dio. Perché le cose non vanno bene e potrebbero andare peggio. Ma con la diplomazia, la giusta strategia corale e l’archiviazione delle lamentale, l’economia e le nostre esistenze potrebbero ritrovare un equilibrio. La storia insegna che è possibile. E che non c’è scelta. 

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