Con i dazi di Trump prove di recessione globale
Quello della Casa Bianca è un atto incosciente, dalle conseguenze scontate. Per rivalersi, ora l’Europa deve anche dialogare con gli altri attori globali

Trump ha promesso che, con i dazi, l’economia «avrebbe fatto il botto». Così è stato. Le Borse mondiali sono precipitate e ora gli economisti, compresa l’americana Fed, lasciano immaginare una recessione globale. Era inevitabile. Può non piacere, ma da 35 anni la produzione e la distribuzione del reddito a livello planetario sono fondate su scambi multilaterali.
Se una forza rilevante inceppa gli ingranaggi, le conseguenze sono scontate. I ricchi saranno un po’ meno ricchi e i poveri più poveri; i pinguini delle isole Heard and McDonald, non si sa. Con una aggravante. Per parafrasare Walter Matthau in “Appartamento al Plaza”, il presidente degli Stati Uniti è «irritante perché commette anche gli sbagli nel modo sbagliato».
Quanto successo giovedì 3 aprile alla Casa Bianca è un atto incosciente che viola ognuna delle ragioni fra quelle che, sinora e non senza difficoltà, hanno governato l’ambiente antropico. Le discussioni su questo finiscono qui.
Crollano i titoli. Riecco l’Orso, come non si vedeva dal tempo del Covid. A New York la guerra dei dazi è già costata 10 mila miliardi, Milano ha perso come dopo l’11 settembre. Gli gnomi rispondono con le vendite all’incertezza, circostanza che in questa fase è facilitata dal fatto che, ancora venerdì 4 aprile, gli indici erano più alti di un anno fa. L’esperienza dice che i listini torneranno a salire, presto o tardi. Nel frattempo ci saranno vittime, colpite dal capriccio di un immobiliarista s/pregiudicato, chiamato a guidare lo Stato più indebitato della Terra, che ha perso il senso di ogni storia a parte la sua.
Era molto che così pochi non facevano così tanto male a così tante persone. Eppure possiamo coltivare un sogno. The European House Ambrosetti stima che sia minacciato direttamente il 2,2% dell’export italiano nel mondo, il Paese meno dipendente dalla domanda estera nell’Unione. La Commissione Ue rivela che un quinto del prodotto continentale attraversa l’Atlantico. Il colpo è duro, non mortale.
Il desiderio di trattare con un Paese che si ritiene storicamente alleato è nel Dna europeo, pertanto il dialogo non deve interrompersi. Detto questo, non si può fare troppo i signori coi bulli. Per quanto rilevanti, gli Usa hanno un numero ridotto di amici e sodali, non tutti raccomandabili (vedi Putin). L’Europa deve rivalersi sul motore a stelle e strisce alzando qualche barriera e coordinandosi, anche temporaneamente, con gli altri attori degli scambi globali.
C’è chi suggerisce un’intesa a basso dazio e a termine con Cina, Giappone, Canada, Corea del Sud e Africa; la ciliegina sarebbe l’immediata firma del trattato col Mercosur. I governi devono dare una mano a chi cercherà di aiutarsi. Il dollaro come valuta di riferimento complica lo scenario, ma se i “daziati” di Trump facessero quadrato per rispondere, il contraccolpo sarebbe micidiale.
Una coalizione di volenterosi (della crescita) potrebbe rovinare i weekend golfistici di The Donald, l’uomo che si ritiene salvato da Dio. Perché le cose non vanno bene e potrebbero andare peggio. Ma con la diplomazia, la giusta strategia corale e l’archiviazione delle lamentale, l’economia e le nostre esistenze potrebbero ritrovare un equilibrio. La storia insegna che è possibile. E che non c’è scelta.
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