Promesse mancate, crisi, malcontento: i tedeschi attratti dall’estrema destra

Alla vigilia dell’apertura delle urne la Spd pare destinata alla sconfitta. I pronostici scommettono sulla crescita di AfD, già radicata a Est

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Alice Weidel, leader di Afd
Alice Weidel, leader di Afd

Da tutta l’Europa e anche da altre parti del mondo si guarda con attenzione, da molti con apprensione, alle elezioni che si terranno in Germania questa domenica. Oltre e più che sulla composizione del nuovo governo, che sarà certamente molto diversa da quella attuale a guida socialdemocratica, ci si interroga sul peso che potrà avere l’AfD, Alternativa per la Germania.

Il partito dichiaratamente neonazista, che a lungo era stata “messo al bando” dalle altre forze politiche, ma che ultimamente è stato sostenuto in modo esplicito e aggressivo dagli Stati Uniti, con il vicepresidente JD Vance e da Elon Musk, ora appare destinato a risultare secondo dopo la Cdu. I leader democristiani dichiarano di non volere l’AfD come alleato, ma è legittimo avere dubbi sul rispetto di questo impegno di fronte a un possibile stallo.

L’AfD è una forza politica nuova, fondata nel 2013 da figure fuoriuscite dalla Cdu. Molti ricollegano il suo successo al «passato che non vuole passare» dell’eredità hitleriana. Ma potrebbe contare maggiormente un’altra realtà che continua a farsi fortemente sentire, non solo dal punto di vista politico, nella Germania di oggi: il persistere delle differenze, anzi delle distanze, tra le regioni che appartenevano alla repubblica federale, democratica fin dal 1945, e quelle della Ddr che, sebbene democratica nel nome, fu sede fino al 1989 di una dittatura filosovietica tra le più oppressive.

Ci si deve rendere conto che il confine Est-Ovest non è stato cancellato, a trentacinque anni dalla riunificazione. O si dovrebbe piuttosto parlare di un’annessione dei territori ex comunisti alla Repubblica federale: annessione che fece della Germania una potenza senza pari in Europa e che trascinò con sé l’ingresso in Europa di buona parte dei Paesi usciti dalla tirannia.

Quella divisione, in teoria superata, continua invece a condizionare in profondità il Paese, visto che in quasi tutte le elezioni dopo il 1990 il voto delle regioni già Dddr è stato decisivo per la selezione del premier o cancelliere. Nel voto precedente (2021), mentre a Ovest l’AfD non ha mai superato il 10-15%, a Est ha ottenuto tra il 15 e il 25% e oltre, un successo che si prevede si accentui questa volta. E sempre nella Germania ex comunista sembrano destinate a buoni risultati la formazione “rosso-bruna” che si dichiara socialista, ma anti-immigrazione, e la sinistra della Linke.

Questa divaricazione si deve certo alla situazione economica, visto che la recessione già pesante in tutto il Paese si fa sentire in particolar modo in alcune zone dell’Est. Ma ci sono radici più profonde. Si può parlare per i tedeschi già sudditi della dittatura, come per altri Paesi dell’Europa orientale, di una diffusa delusione verso l’occidente: dagli Usa all’Ue, ai partiti tradizionalmente dominanti nella repubblica federale.

Dopo che avevano promesso nel 1989 e negli anni seguenti non solo la democrazia, ma anche un rapido accesso alla prosperità e a una totale parità con i più fortunati “fratelli” dell’Ovest, non hanno mantenuto - se non in parte - quella promessa. La delusione è poi esacerbata dall’aver visto la Germania più ricca, e altre economie capitalistiche, impossessarsi a basso costo di terre, case, altre proprietà, e dall’assistere alla rapida “gentrificazione” di quartieri di Berlino Est come di Dresda e di altre città, molte oggi meta di grandi flussi turistici. Mentre tra i tedeschi, un tempo divisi, continuano a persistere diffidenze e pregiudizi reciproci. Non si deve inoltre dimenticare che, se nei confronti dei responsabili del regime nazista o almeno dei suoi peggiori crimini si è proceduto - sia pure tardivamente - a procedimenti giudiziari, ben poco è stato fatto per punire i colpevoli dei soprusi, degli arbìtri, delle violenze che hanno accompagnato i quasi cinquant’anni di storia della Germania Est: cosa che ha contribuito a una sfiducia di fondo nella democrazia. Ben pochi in quei territori hanno nostalgia del regime filosovietico, molti credono che le dittature, alla fine, vincono. 

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