In difesa della scuola pubblica

La spinta verso l’istruzione privata viene da società sempre più diseguali, dove i ceti più elevati mirano a una crescente separazione, anche dei loro figli, dal resto della società, e i ceti meno abbienti si sentono incentivati a imitarli.

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Presidio "Giornata dell'orgoglio della scuola"
Presidio "Giornata dell'orgoglio della scuola"

La maggioranza di governo è decisa ad appoggiare, con fondi pubblici, l’istruzione privata. È vero, è stato ritirato (per ora) l’emendamento di Fratelli d’Italia alla legge di bilancio per erogare 1500 euro a tutte le famiglie sotto una soglia Isee di 40. 000 euro l’anno che volessero iscrivere un figlio a un istituto paritario. Per motivi presumibilmente di fondi, visto che lo stesso ministro Valditara aveva presentato quel bonus come un “diritto” da garantire alle famiglie. Comunque, un altro parlamentare della maggioranza, Cesa, propone un incentivo ancora più munifico: 2000 euro a famiglia. E la Lega propone di esentare quelle scuole dall’Imu. L’opposizione del resto non si fa molto sentire, forse per non indispettire il mondo cattolico a cui fa capo una larga parte dell’istruzione paritaria.

Mentre la maggioranza di governo cerca in vario modo di erogare fondi agli istituti privati, i finanziamenti all’educazione e all’università restano in Italia tra i più bassi in Europa, e le conseguenze si vedono: ad esempio nello stato catastrofico (con pericoli di seri disastri) degli edifici scolastici come nell’alta percentuale di persone che abbandonano scuola e università senza completare gli studi.

Caratteristiche del sistema educativo italiano sono anche le tante università telematiche (private), che fanno pagare rette superiori alle normali tasse universitarie offrendo servizi non comparabili ma forti di quel “valore legale del titolo di studio” che parifica di fatto tutte le lauree comunque e dovunque ottenute. Non si tratta di una tendenza solo italiana però: Trump ha nominato come prossimo segretario all’istruzione Linda MacMahon, che prima di entrare in politica era una manager del wrestling, di educazione non sembra sapere molto, ma il cui programma consiste principalmente nel favorire le scuole private.

Un valore irrinunciabile

L’istruzione pubblica è una delle grandi conquiste dello stato moderno: non solo è stata alla base dell’alfabetizzazione di massa e poi del progressivo innalzamento del livello culturale delle società, ma offre un insegnamento che è (o almeno si cerca di mantenere) a un livello di qualità garantita per tutti, e permette di fare incontrare nelle stesse scuole ragazzi e ragazze di provenienze sociali anche molto diverse; oggi in particolare è il massimo strumento di integrazione anche tra persone di etnie differenti. E favorisce l’omogeneità linguistica di un intero paese, cioè di fatto la possibilità per gli abitanti di regioni lontane di capirsi tra di loro.

È giusto certo tutelare l’esistenza di istituzioni alternative, più attente alle specificità religiose, o altro, delle famiglie. Ma la Costituzione parla chiarissimo (art. 33) “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. E invece la tendenza è proprio questa: accollare allo stato quegli “oneri”, impoverendo ulteriormente quella pubblica. Dobbiamo ricordare che la spinta verso l’istruzione privata viene da società sempre più diseguali, dove i ceti più elevati mirano a una crescente separazione, anche dei loro figli, dal resto della società, e i ceti meno abbienti si sentono incentivati a imitarli. E da società che temono l’integrazione etnica culturale e religiosa, come dimostra ancora l’esempio degli Usa, dove in molte scuole private sono praticate forme di vera e propria apartheid. Il finanziamento (incostituzionale) all’istruzione privata è di fatto un altro segnale del disinteresse dello stato per l’educazione di tutti.

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