Una strategia europea per i migranti

I numeri sfornati da Eurostat dicono che gli Stati Ue amministrano con inclusività il rapporto con le genti in fuga dalle crisi che infettano il Pianeta. Nel 2024 Germania, Francia e Spagna hanno recitato la parte del leone, l’Italia è indietro

Marco ZatterinMarco Zatterin
Migranti alla frontiera tra Serbia e Ungheria
Migranti alla frontiera tra Serbia e Ungheria

Se si abbassa il sonoro che di questi tempi amplifica i dibattiti più violenti, l’Europa si rivela un continente capace di accogliere i più deboli con uno slancio che riecheggia gli inviti alla solidarietà partiti nell’ora più triste da piazza San Pietro.

I numeri appena sfornati da Eurostat dicono che gli Stati Ue amministrano con inclusività il rapporto con le genti in fuga dalle crisi che infettano il Pianeta.

Nel 2024 hanno garantito la protezione a 437.900 richiedenti asilo, il 7 per cento in più dell’anno precedente. Germania, Francia e Spagna hanno recitato la parte del leone, ricevendo da sole il 61 per cento degli arrivati. L’Italia è indietro, al quinto posto. È il terzo Paese per popolazione, ma alloggia meno del 10 per cento dei flussi legali di rifugiati (39 mila). Berlino, da sola, ne prende quasi quattro volte (150 mila).

Sono dati da esaminare con cautela, hanno valore diverso al cambiare della geografia. La sostanza è però che il grosso di chi bussa alle porte dell’Europa fugge da tre Paesi che non si riesce a considerare sicuri, Siria (32 per cento degli accolti), Afghanistan (17%) e Venezuela (8%). Da due anni l’Italia è più sotto pressione, non come Germania e Spagna, ma in linea con la Francia: da noi le richieste di asilo nel 2024 sono state 158 mila.

La tendenza è inevitabile, la Penisola è una rilevante porta per chi attraversa il Mediterraneo su cui transita il 15 per cento di chi chiede asilo. A fine gennaio risultavano in attesa di valutazione 200 mila posizioni, come dire che solo uno su cinque riesce a ottenere un pronunciamento positivo, una piccola parte viene respinta, e il grosso resta in attesa a tempo indeterminato di chiarezza sul futuro.

Gli osservatori comunitari concedono che il filtro ai confini non è in linea con il potenziale dell’Unione. La regola stabilisce che le frontiere esterne degli Stati segnano il limes dei Ventisette e, in teoria, vanno gestite dai singoli in concorso con le istituzioni a dodici stelle (l’agenzia Frontex).

Le norme in vigore sono giudicate un sufficiente punto di partenza, mentre il nuovo Patto per le migrazioni - destinato fra l’altro a permettere l’espulsione dei non aventi diritto al termine dell’istruttoria e il ricollocamento in Paesi terzi - porterà benefici se applicato come i governi si sono risolti a fare.

La Germania è molto pragmatica, come la Francia: accoglie quel che deve, espelle quanti può. In valore relativo, Roma si dimostra invece meno efficiente di Paesi a trazione sovranista, come Olanda e Austria.

A Bruxelles, chi guarda l’Italia pensa che sarebbe meglio utilizzare più energie e fondi per rendere i filtri funzionanti, piuttosto che cercare soluzioni mediatiche (vedi Albania). «Servirebbe - spiega la fonte Ue - più impegno amministrativo e gestionale che politica da talk show».

A cominciare dai Paesi sicuri. «I rimpatri possono avvenire anche verso quelli che non lo sono – si ricorda – solo che serve una procedura più complessa rispetto agli Stati etichettati come sicuri».

L’invito sommesso è a ridurre i proclami per migliorare la rete dei porti, le condizioni operative di una amministrazione sovraccarica e la cooperazione europea.

Sebbene la realtà dica che nessuno Stato europeo riesce a rispondere interamente alle esigenze dei tempi, una strategia corale e concentrata sugli scopi potrebbe rendere il contesto più umano, afferrare i flussi e garantire i diritti. È un appello che ha senso. E nessuna alternativa credibile.

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