Fine vita, quell’inerzia che prolunga le sofferenze
Mentre in Parlamento riparte da zero la discussione sul disegno di legge sul fine vita, Zaia ha già dimostrato sensibilità non comune dalle sue parti politiche su questo tema che va affrontato per la sua valenza etica, ancora prima che politica
![Fine vita, la discussione torna in Parlamento](https://images.ilnordest.it/view/acePublic/alias/contentid/1h834e9qavbgq28kv0x/0/bsm012733493_pr-jpg.webp?f=16%3A9&w=840)
Sempre più spesso sulle pagine dei giornali si leggono parole strazianti, parole di chi ha deciso, in piena coscienza e lucidità, di chiedere alla sanità pubblica l’aiuto a porre fine a una vita diventata tortura non più sopportabile, come di recente ha fatto una persona affetta da sclerosi multipla che, nel nostro Nord Est, ha potuto autosomministrarsi il farmaco che ha liberato la sua anima da un corpo «diventato prigione».
Ci è riuscita, tuttavia, dopo otto mesi di attesa: tanto è servito perché il Servizio sanitario nazionale riconoscesse la presenza dei requisiti fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019. Che lo scorso anno è stata reinterpretata dalla stessa Corte con un’apertura: ora gli interventi di “sostegno vitale” non devono essere considerati solo l’idratazione, l’alimentazione, la ventilazione artificiale, ma, più ampiamente, anche qualsiasi altro intervento sanitario senza il quale il soggetto andrebbe incontro a morte certa. Restano validi gli altri requisiti: in sintesi, piene capacità di intendere e volere, sofferenze ritenute intollerabili, prognosi infausta, mancata risposta a ogni ulteriore possibile cura.
Otto mesi di attesa: sono un tempo troppo lungo per chi non ce la fa più a continuare a soffrire, senza possibilità non solo di guarigione, ma anche di vedersi attenuata la sofferenza.
Manca una normativa nazionale che stabilisca termini temporali entro cui la Sanità pubblica dovrebbe verificare la presenza di quei requisiti. In Parlamento riparte da zero, a due anni dall’insediamento del governo, la discussione su un disegno di legge che è tornato al punto di partenza dopo aver avuto prima approvazione alla Camera nella scorsa legislatura.
Se aggiungiamo i tempi quasi biblici di un bicameralismo meritevole di essere abolito, per un progetto di legge su un argomento così delicato, appare del tutto sensata la richiesta di procedere con un intervento normativo a livello regionale: e la Regione Toscana, prima in Italia, martedì ha approvato una legge in proposito. Si era provato anche nel Veneto, ma quell’approvazione, per un soffio, non c’è stata lo scorso anno, anche per inedite alleanze trasversali contrarie a essa, nate sulla base di una comune ideologia di matrice confessionale.
Insomma, è stata vincente la tattica del rimpallo: non decidiamo a livello regionale, come pure sarebbe del tutto legittimo, nel rispetto più scrupoloso della sentenza della Consulta, perché tanto ci penserà il Parlamento. Che invece è stato bacchettato, con sacrosante ragioni, per la sua inerzia su questi temi bioetici dalla stessa Corte, costretta a una azione di supplenza proprio per quell’inerzia.
Il presidente del Veneto annuncia ora un provvedimento di natura regolamentare che imponga tempi certi e ragionevolmente brevi per le Aziende sanitarie cui compete di svolgere i necessari accertamenti e disporre di conseguenza, per verificare la presenza delle condizioni stabilite dalla sentenza di cui sopra. Che ha stabilito l’esistenza di un diritto per tutti i cittadini, che non obbliga nessuno alla pratica del cosiddetto «suicidio medicalmente assistito», ma che si limita a... impedire di impedirlo. Luca Zaia ha già dimostrato sensibilità non comune dalle sue parti politiche su questo tema che va affrontato per la sua valenza etica, ancora prima che politica. Per non prolungare sofferenze di esseri umani meritevoli di umana (e forse anche cristiana...) misericordia.
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