A che serve avere Gaza sgomberata
Una Striscia da ricostruire suscita molti appetiti nei settori tradizionali e stuzzica persino il Trump immobiliarista. Tanto più se l’annunciata catarsi politico-edilizia made in Usa si concretizzasse nel fare di Gaza una nuova Palm Beach
Trump ritorna a parlare di Gaza: «Un inferno che non è cominciato ora», ma risale a secoli fa, sottolinea. È la seconda volta in pochi giorni che la Striscia è oggetto delle sue attenzioni. Con argomentazioni univoche: incitare i palestinesi a vivere altrove. In Giordania, in Egitto, in diaspora, in «aree più comode e sicure», ma non lì, dove, invece – come si comprende vedendo l’esodo verso Nord degli sfollati dopo la tregua - intendono restare perché si sentono una nazione.
Il primo messaggio trumpiano, nello stile della diplomazia della brutalità che ormai caratterizza l’America, è stato eloquente: «Ripulire Gaza!». Espressione che non significa solo la messa fuori gioco di Hamas, ma dell’intera popolazione palestinese della Striscia.
Obiettivo che un Trump volutamente “riduzionista” ha inizialmente presentato non come fatto politico, ma come problema legato alla necessità di sgomberare le macerie. In fondo, ha detto, si tratta di trovare alloggio altrove a «solo un milione e mezzo di persone». Prospettiva, quella dell’esodo provvisorio destinato a diventare definitivo, che i palestinesi conoscono bene e sa tanto da pulizia etnica mascherata. E che, non a caso, sul versante israeliano, ha suscitato il pieno consenso dell’estrema destra nazionalreligiosa e suprematista di Smotrich e Ben Gvir, e solleticato, in nome della sicurezza e della demografia, l’ala dura del Likud che non ha mai scartato quell’ipotesi.
Del resto, la conduzione della guerra imposta da Netanyahu - soffocare Gaza nelle macerie - non escludeva l’obiettivo. Se la priorità fosse stata la ricerca degli ostaggi, la condotta militare sarebbe stata diversa e i sequestrati sarebbero ora in buona parte liberi, non rilasciati in uno scambio. Il rilancio di Trump sull’esodo della popolazione di Gaza nasce da valutazioni su cui incidono anche visioni e interessi della multiforme galassia che lo appoggia. Uno schieramento che comprende tra gli altri: i fautori di una presidenza “imperiale”, decisa a imporsi senza troppi riguardi per l’ordine internazionale; uno scalpitante mondo degli affari che non si lascia esaurire nelle sofisticate vestigia del nuovo capitalismo del Big Tech: una Striscia da ricostruire suscita molti appetiti nei settori tradizionali e stuzzica persino il Trump immobiliarista.
Tanto più se, dopo aver “ripulito” il terreno da macerie e da irriducibili sfollati palestinesi, l’annunciata catarsi politico-edilizia made in Usa si concretizzasse nel fare di Gaza una nuova Palm Beach: con tanto di alberghi, resort, vertiginosi edifici residenziali, industria dell’intrattenimento; il settore degli evangelici fautori del sionismo cristiano, fenomeno politico e religioso di stampo millenaristico, prodotto di una apocalittica lettura della tradizione biblica che vede nella fondazione di Israele lo scenario destinato a produrre lo scontro decisivo tra Bene e Male.
Disegno, quello di Gaza “ripulita”, e inevitabilmente “annessa” da Israele, impraticabile con Biden alla Casa Bianca, ma divenuta aperto oggetto di discussione con il ritorno di Trump nella Sala ovale. Opzione stoppata, allora come oggi, dal rifiuto di Al Sisi e di re Abdallah, decisi a evitare le tensioni israelo-palestinesi; e dell’Anp , che ben comprende come la sua realizzazione segnerebbe la fine della già fragile prospettiva dei “due Stati”. Il rilancio di Trump fa, però, capire che l’ipotesi è sul tavolo. Del futuro della Striscia si parlerà nell’imminente incontro americano di Netanyahu e Trump, ma certo una simile ipotesi continuerà a aleggiare a lungo in riva al Potomac.
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