Una via d’uscita all’economia ferita
Se nello scenario internazionale la Germania deve fare i conti con un alleato storico, gli Stati Uniti, che stanno mettendo in discussione le fondamenta del patto atlantico, all’interno del paese Merz deve affrontare una crisi industriale che appare senza via d’uscita
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All’indomani delle elezioni tedesche, il vincitore e probabile prossimo cancelliere Friedrich Merz è già chiamato ad affrontare una serie di questioni di massima urgenza. Se nello scenario internazionale la Germania deve fare i conti con un alleato storico, gli Stati Uniti, che stanno mettendo in discussione le fondamenta del patto atlantico, all’interno del paese Merz deve affrontare una crisi industriale che appare senza via d’uscita.
Ecco, la domanda sulla quale vale la pena interrogarci è proprio la seguente: esiste una via d’uscita per quella che è stata per almeno due decenni la locomotiva industriale europea? Se per via d’uscita s’intende la ripresa dell’industria automotive domestica attraverso la replica di un modello di business consolidato, allora la risposta molto probabilmente sarà negativa. La crisi economica tedesca è infatti il risultato del rallentamento delle sue principali industrie, tra cui certamente rientra la produzione di auto.
Secondo stime elaborate dalla German Association of the Automotive Industry (VDA), il comparto automtotive tedesco nel 2024 ha generato un indotto economico di circa 400 miliardi di euro.
Stiamo parlando di un valore che supera il 10% del prodotto interno lordo del paese. Se rallenta l’auto, rallenta dunque una parte centrale del modello economico del paese, basato su grandi imprese e su un articolato sistema di “Mittelstand”, impresa di medie dimensioni per certi versi paragonabile alla media impresa industriale italiana.
Sono queste le imprese che per lungo tempo hanno trainato l’ascesa del modello industriale tedesco e sono proprio queste le imprese che oggi sembrano accusare dei pesanti ritardi di competitività.
Lo scenario economico è certamente sfavorevole, ad iniziare dalla dipendenza tedesca nei confronti del gas russo e dalle importazioni cinesi, ma c’è dell’altro. Come ben argomentato da Wolfgang Münchau, ex editorialista del Financial Times ed autore di “Kaput. The End of the German Miracle”, la crisi tedesca è strutturale e non congiunturale. È una crisi che arriva da lontano e che coinvolge inevitabilmente i grandi brand della produzione automotive. I dati a nostra disposizione sono peraltro piuttosto eloquenti.
Guardando ad una delle imprese simbolo dell’industria tedesca, Mercedes-Benz, colpisce particolarmente la lettura relativa all’andamento dei profitti nel 2024. Con riferimento all’anno precedente, infatti, Mercedes-Benz ha registrato una contrazione dell’EBIT (utile prima degli interessi e delle tasse) pari al 64%. Sono valori straordinari, quasi difficili da immaginare. E che ci raccontano di un modello di business in profonda crisi.
È una crisi che ha un nome e cognome: si chiama auto elettriche prodotte e vendute in Cina. Da un lato, infatti, l’industria cinese è diventata la prima industria al mondo per produzione di auto elettriche, con brand come BYD e SAIC che stanno guadagnando rapidamente quote di mercato in un settore di mercato complesso e caratterizzato da alte barriere all’ingresso.
È evidente come i brand cinesi stanno concorrendo a disegnare il futuro di un settore tradizionale e maturo come quello dell’automotive, non soltanto attraverso lo sviluppo di innovazione ma anche, e soprattutto, attraverso la produzione di veicoli particolarmente competitivi sul fronte dei costi.
A ben vedere, è proprio il posizionamento dell’offerta di auto elettriche cinesi nel mercato mondiale a favorire la rapida crescita delle quote di mercato dei brand asiatici. Crescita che non è però limitata al mercato globale, ma che riguarda oggi anche il mercato cinese, sempre più orientato ad abbandonare l’auto a combustione in favore dell’auto elettrica.
È un trend di mercato che si è rapidamente tradotto in una severa contrazione nella domanda cinese di auto a combustione made in Germany, accelerando una crisi che per molti aspetti era prevedibile. D’altra parte, la rivoluzione iniziata da Tesla da almeno un decennio è ampiamente documentata dai valori che il mercato assegna ai brand dell’auto mondiali. Tesla, in questo senso, registrava un valore di mercato ad inizio 2025 di 900 miliardi di dollari, più di 10 volte il valore di mercato di Mercedes-Benz! (80 miliardi), pur vendendo molte meno auto.
Insomma, pensare che il comparto automotive tedesco sia vittima di uno scenario congiunturale particolarmente negativo è fuorviante e illusorio. Siamo di fronte ad una crisi che è qui per restare e che avrà profonde implicazioni per l’intera filiera dell’automotive europea, Italia inclusa.
Il Nord Est in questo senso è destinato a pagare un prezzo particolarmente alto, avendo strutturato nel tempo delle dense filiere di fornitura specializzate a traino dell’industria tedesca.
La diversificazione dei mercati di destinazione, una delle poche opzioni strategiche che oggi sembrano a disposizione delle PMI nordestine, è una strategia facile a dirsi ma difficile a farsi.
È per questo che va incoraggiato con determinazione lo sviluppo dell’industria aerospaziale italiana. È un contesto competitivo in cui le competenze industriali delle nostre imprese possono almeno in parte essere riutilizzate e valorizzate.
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