La Shoah avrebbe potuto essere un monito per il presente, ma non funziona così

L’intervento del presidente della Comunità ebraica di Venezia in occasione del Giorno della Memoria 2025

Dario Calimani *

Vale chiedersi se abbia senso essere qui oggi a commemorare la Shoah, se serva a qualche cosa.

Può una riflessione sull’antisemitismo aiutarci a capire, almeno in parte, gli eventi spaventosi di oggi? È un quesito che non vuole creare illusioni, perché la storia registra il passato, e nulla insegna, perché nulla siamo disposti ad apprendere. Preferiamo tutto ricreare, a nostro modo, anche per il peggiore possibile dei risultati.

In giorni di aspro dibattito politico e di forti contrapposizioni, permettetemi di proporre qualche data a caso della storia dell’antisemitismo, solo un breve cenno a eventi significativi.

Altrimenti non si capisce che cosa sia per gli ebrei la Shoah e che cosa siano le nostre diverse reazioni all’antisemitismo oggi.

Salto a piè pari, per brevità, i primi mille anni.

  • 1066, massacro di Granada: 4000 morti
  • 1096, Prima crociata, distrugge le Comunità tedesche di Spira, Magonza e Worms: 12000 morti
  • 1190, massacro di York
  • 1290, cacciata degli ebrei dall’Inghilterra
  • 1298, Rottingen e Norimberga: 20.000 morti (146 comunità ebraiche distrutte)
  • 1350, peste nera in Germania, ebrei accusati di essere gli untori: 6000 morti a Magonza, 2000 a Strasburgo. Decine di migliaia di ebrei in fuga dalla Valle del Reno.
  • 1394, espulsione degli ebrei dalla Francia
  • 1492, cacciata degli ebrei dalla Spagna
  • 1497, cacciata degli ebrei dal Portogallo e conversione forzata di massa degli ebrei rimasti
  • 1506, massacro di Lisbona: 2000 morti
  • 1648-49, massacri di Chmielnicki in Polonia/Lituania: 30.000 morti, 300 comunità distrutte
  • 1670, cacciata degli ebrei da Vienna
  • Per tutto il ‘600, massacri in Ucraina, innumerevoli
  • 1821, pogrom di Odessa; e ancora nel 1859 e 1871
  • 1881-82, Impero Russo: 200 pogrom; la si considera la data di nascita del Sionismo
  • 1903, pogrom di Kishinev, Russia
  • 1894-1906, Affare Dreyfus
  • 1918-1921, numero infinito di pogrom in Ucraina: 100.000 morti
  • 1941, Jedwabne in Polonia: 1600 morti, molti bruciati in un fienile, da polacchi
  • 1941-45, Shoah
  • 1946, pogrom di Kielce, Polonia; ebrei sfuggiti ad Auschwitz, massacrati a casa propria, da polacchi

Poi, nel contesto che sappiamo, c’è stato il 7 ottobre 2023.

Io mi chiedo – e non mi so rispondere – quanto, nella coscienza degli ebrei, la storia dell’antisemitismo condizioni una visione sfiduciata nell’oggi.

Nel commemorare la Shoah e i suoi sei milioni di morti, si perde purtroppo la consapevolezza delle vite e dei volti delle singole vittime. Penso, per tutti, a mia cugina Pia, di 22 anni, e a suo figlio Leo, arrestato il giorno della nascita e gassato: aveva tre mesi.

La Shoah avrebbe potuto essere un monito per il presente, ma non funziona così. Non ha mai funzionato. Lasciamolo essere, almeno, un incubo del passato, in tutta la sua specificità, non straziato da forzate analogie e da falsi paragoni.

L’antisemitismo è vivo e vegeto fra di noi e sempre più vigoroso. Basta poco a riportarlo in emersione, con vari pretesti. L’ebreo è sempre l’obiettivo ultimo, facile da individuare e da raggiungere. Ritornano d’attualità stereotipi più o meno antichi: il potere politico ed economico degli ebrei, rispolverato da un armamentario linguistico nazista, in un paese, come l’Italia, in cui gli ebrei sono poco più di ventimila e del tutto ininfluenti.

Si è detto e scritto, qui a Venezia, che il potere ebraico vuole zittire le voci libere, solo perché si è contestato l’impiego del termine ‘genocidio’. Quindi sono gli ebrei che devono stare zitti e non rispondere a chi violenta il linguaggio distorcendo la realtà, per creare un contraltare alla Shoah, e stemperando gli stermini programmati degli ebrei, dei rom, dei sinti, e quelli degli armeni e dei cambogiani e dei Tutsi.

Che oggi ogni massacro sia una Shoah significa confondere lo sterminio del popolo ebraico nel pastone indiscriminato della storia, come per una nota a margine. È il sogno dei negazionisti e dei riduzionisti.

È il sogno dei nostalgici del nazismo e del fascismo, di quel fascismo che non ha mai fatto i conti con la sua storia e con le sue responsabilità. È il sogno dei nuovi fascismi.

Non siamo qui per difendere o per giustificare, né per denunciare e condannare. Siamo qui per ricordare che cosa sia l’antisemitismo e a che cosa portino il pregiudizio e l’odio, la propalazione di stereotipi irriflessi, l’uso strumentale del linguaggio che costringe e uniforma il pensiero. Orwell insegna.

È tempo sprecato commemorare lo stermino della Shoah e posare pietre d’inciampo, se della Shoah non si impara la lezione.

Nel Caucaso, in Australia, in Francia sono state incendiate sinagoghe. Se ne potrà dare di certo una giustificazione. Ad Amsterdam c’è stato un linciaggio di tifosi ebrei; nei campus americani gli ebrei disertano le lezioni o abbandonano l’università perché si sentono minacciati. Anche in qualche università italiana il clima per gli ebrei non è molto salùbre: la propaganda antisemita, con distinguo più o meno sottili, imperversa in specifici dipartimenti.

Liliana Segre, fra gli ultimi testimoni di Auschwitz, sommersa da insulti e minacce, è sotto protezione da tempo. Sui social c’è chi si rammarica che Hitler non abbia portato a termine il suo lavoro.

Un programma Rai si è di recente concentrato sulle lobby israeliane a Bruxelles, poi reclamizzate come lobby ebraiche a Bruxelles. E nessuno si è accorto di quella piccola differenza che è lo spazio in cui si forgia il nuovo antisemitismo.

Lo stesso programma si è scordato, peraltro, di fare un’inchiesta su altre lobby politiche ed economiche che da decenni, all’Onu, sostengono altre cause, e finanziano e diffondono l’odio antisemita, nella società e nelle università americane. C’è ovunque un fiorire spaventoso di vignette che raffigurano l’ebreo irsuto e dal naso adunco, come ai bei tempi del nazismo e della rivista fascista La difesa della razza.

La gente indossa magliette nere con su scritto “Jews rape kids”, gli ebrei stuprano i bambini. Los Angeles brucia, e i colpevoli sono additati in una famiglia di imprenditori ebrei che usano l’acqua per le loro piantagioni di pistacchi. Che i loro bacini idrici non siano integrati con i sistemi antincendio non interessa agli untori antisemiti. I colpevoli sono gli ebrei. Una campagna antisemita diffusa. Chi la finanzia? A chi giova?

Non c’è alcuna reazione da parte della società civile. Ritornano indifferenza e minimizzazione. L’impegno nella diffusione del pregiudizio è intenso, il contrasto all’odio è pressoché inesistente e spesso poco convinto. Finora ci siamo limitati a individuare qualche giusto del passato, a erigere qualche monumento, a mettere, ottant’anni dopo, una targa in cui le parole nazismo e fascismo non compaiono. E ancora non riusciamo a conoscere i nomi dei delatori che ci hanno avviato alle camere a gas. Anche qui a Venezia. Ci si gira dall’altra parte, come allora. Ci limitiamo a ripulire le pietre d’inciampo per onorare i morti.

Bisogna forse ripetere ancora una volta che cosa sia stata la Shoah e perché sia stato uno sterminio alquanto particolare.

Hanno cercato gli ebrei in tutta Europa, li hanno stanati e trasportati al centro della civiltà occidentale per gassarli in massa. Quella era l’intenzione, e l’obiettivo fu raggiunto. Li hanno deportati ad Auschwitz, in carri bestiame, cinque giorni in piedi, 150 per vagone, in mezzo ai loro escrementi, poi rasati, denudati, nel migliore dei casi gassati, gettati nei forni crematori e passati per il camino. E a loro andò bene. Altri passarono per le cure del dottor Mengele, bambini soprattutto, per gli esperimenti. Un milione e mezzo di bambini è il costo della Shoah.

Questo è il genocidio, questo è l’intento genocida. Non erano attori di una guerra, non sono stati presi di mezzo durante una guerra.

Non si può sminuire la catastrofe mirata di sei milioni di persone distorcendo il linguaggio e la realtà. Non si può sminuire o strumentalizzare la devastazione immane del popolo ebraico, anche se per sostenere, legittimamente, una causa. Smettiamola di pulire pietre d’inciampo.

Dopodiché, lo affermo senza esitazione, e può piacere o meno: ogni morto civile è una tragedia, ogni bambino ucciso è una tragedia. Ogni innocente che soccombe è una tragedia. Non è questione di numeri o da che parte stai, è questione di umanità negata, è questione di diritti di tutti calpestati, è questione di propagazione indiscriminata del terrore, è questione di indifferenza alla storia dell’altro.

La storia è sempre almeno due storie che si incrociano, e a volte disgraziatamente si contrappongono. Ma ciascuno ricorda bene soprattutto la propria di storia, e non si attarda ad ascoltare la storia dell’altro.

Dopo la carneficina della Shoah, un milione di ebrei, il settimo milione, cercò riparo nella Palestina sotto mandato inglese. Non siamo qui per condannare o per assolvere. Ma non ci si può stancare di dirlo: il Sionismo e la situazione attuale l’hanno creata principalmente l’antisemitismo europeo, la civiltà occidentale e secoli di persecuzioni.

Il resto è la storia rovinosa, fallimentare e tragica degli ultimi decenni e dei nostri giorni.

Agli ebrei della Diaspora, oggi, si chiede di parlare, come se noi fossimo gli interlocutori. Anche questo è antisemitismo cieco e sordo. Ci viene chiesto di condannare, come se ci dovessimo dissociare a tutti i costi e discolpare, come se fossimo attori di una storia, mentre ne siamo spettatori partecipi, come ogni altro cittadino del mondo che simpatizza per l’una o per l’altra causa. A chi altro, oltre che agli ebrei, si chiede di dichiararsi e prendere posizione formale contro chicchessia, autorità civile o religiosa, stato o partito? E perché contro l’uno e non anche contro l’altro? L’ebreo non è libero di essere libero, da lui si pretendono risposte a senso unico, e solo quelle.

Smettiamola di pulire pietre d’inciampo, se non riconosciamo all’ebreo il diritto di essere e di pensare e di aderire in piena libertà, come chiunque altro.

L’ebreo è di nuovo un caso particolare, un’eccezione che conferma la regola dell’antisemitismo.

L’ebreo non è libero di essere sé stesso. Un’ideologia universalista lo vorrebbe solo uomo, privato della sua identità culturale e dei suoi legami affettivi, e un’altra lo vorrebbe solo ebreo, messo al margine dalla sua stessa diversità, colpevole di esercitare il libero pensiero, come ogni altro uomo. L’ebreo confuso nella massa o l’ebreo che incarna lo stereotipo.

Abbiamo ancora molta strada da fare per arrivare alla saggezza. La partigianeria, la faziosità, lo scontro rendono il posizionamento assai più semplice dell’incontro e della ricerca faticosa di comprensione e di dialogo.

La via dell’odio è sempre la più facile da percorrere, e la riflessione complessa non è dei nostri tempi.

I nemici della nostra civiltà e della nostra società sono fanatismo ed estremismo.

La Shoah non è proprio servita a nulla. Un immane sterminio gratuito, senza neppure la consolazione di essere monito al presente.

 

*presidente della Comunità ebraica di Venezia

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