Gli “acquisti” di Trump: la trattativa impossibile e il costo della Groenlandia
Difficile anche accettare l’idea che un popolo e la sua terra possano, ai nostri tempi, essere comprati con una montagna di biglietti verdi. Ma ancora più complesso sarebbe, nel caso, stabilire il prezzo
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Da 12 a mille miliardi di dollari e più. Difficile dire se Donald Trump riuscirà a piantare la bandiera a stelle e strisce sulla Groenlandia come Armstrong e Aldrin fecero sulla Luna nel 1969.
Difficile anche accettare l’idea che un popolo e la sua terra possano, ai nostri tempi, essere comprati con una montagna di biglietti verdi. Ma ancora più complesso sarebbe, nel caso, stabilire il prezzo.
Non ci sono precedenti recenti, sarebbe una trattativa al limite dell’impossibile.
Intanto è un gran baccano che suscita curiosità e rabbia, che distrae da questioni più serie. Perché al di là delle utopiche ambizioni di Washington, un punto è chiaro.
Come assicura Mette Frederiksen, premier della Danimarca e della “Terra verde”: «Questa è una discussione assurda: la Groenlandia non è in vendita; la Groenlandia non è danese; la Groenlandia è groenlandese». Trump la pensa diversamente e il segretario di Stato Marco Rubio giura che «non è uno scherzo».
La loro, comunque, è un’idea vecchiotta. Nella storia degli Stati Uniti, c’è già l’acquisto in contanti della Louisiana, della Florida e delle Isole Vergini.
Nel 1867, ottennero l’Alaska dalla Russia per 7,2 milioni di dollari, un vero affare visto che la somma, rivalutata ai prezzi del 2024, non arriva a 140 milioni di biglietti verdi da uno.
L’anno dopo, si avviò la prima trattativa per la Groenlandia con una offerta da 5,2 milioni di dollari in oro che non andò da nessuna parte.
Eppure il progetto è rimasto lì a ronzare nella testa degli americani che ci hanno riprovato tre volte, nel 1910, nel 1946 (100 milioni di dollari in oro, un miliardo di oggi) e nel 1955.
Nel 2019 Donald Trump ha ripreso l’iniziativa, proclamando che gli States avrebbero dovuto far loro la “Terra verde” per questioni di sicurezza nazionale, sebbene lui pensasse soprattutto alle risorse minerarie in chiave anticinese, ai 50 giacimenti che si stimano trovarsi nell’isola.
A un summit Nato ne parlò con la premier Frederiksen che lo mandò gentilmente a quel paese.
Discorso chiuso sino ai primi del novembre scorso, quando il neopresidente ha ripreso l’offensiva. «Penso che ce la faremo - ha ribadito - i 57.000 residenti dell'isola vogliono stare con noi».
Il tutto, senza curarsi che a Copenhagen governa ancora la signora Frederiksen che non ha cambiato idea. E che il francese Macron vuole aiutarla con l’esercito.
La diffusa tendenza, spesso indecifrabile, a credere a tutto ciò che dice The Donald ha aperto il dibattito sul prezzo della Groenlandia. Punto di riferimento, i tre miliardi di Pil della provincia.
Nel 2019 il Washington Post ha stimato un importo possibile in 42,6 miliardi di dollari per i 2,1 milioni di metri quadrati.
Il Financial Times, basandosi sul valore dei tesori sotterranei, ha detto che ci vorrebbero almeno mille miliardi. Gli analisti di 24/7 Wall Street ritengono invece che ne potrebbero bastare 533 che poi è – secondo loro – il prezzo del Wyoming.
L’Economist se ne è uscito con 57 miliardi, calcolando l’esigenza di dare un milione per ognuno dei residenti, grandi e piccini.
L’economista David R. Barker, già nel board della Fed, ha concluso sul New York Times che la cifra giusta sarebbe fra i 12,5 e i 77 miliardi a seconda del tipo di contratto. Su questo si discuterà, semmai la questione uscisse dalla dimensione di barzelletta.
E la spesa sarà quella che risponderà a una domanda che inquieta: quanto si è disposti a pagare per costruire il più grande impero del Pianeta?
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