Il cinismo prepotente di Trump: oltre agli altri, danneggia i suoi

I primi cento ordini esecutivi delineano una logica negoziale bilaterale di spietato mercanteggiamento transactional

Paolo Costa

Che il Make America Great Again di Trump significasse un «Prima l’America» declinato senza alcun riguardo per il resto del mondo, alleati compresi, era chiaro fin dalla campagna elettorale presidenziale di otto anni fa. Le parole che hanno caratterizzato l’avvio della seconda presidenza Trump, soprattutto gli ormai famosi suoi primi cento “ordini esecutivi”, rendono inequivocabile il messaggio.

Nota a margine: un caso raro, se confrontato con i nostri standard, di coerenza con le promesse elettorali; un merito da riconoscere, per quanto inquietanti possano apparire molte di esse ad un occhio europeo.

C’è dunque un interesse del “popolo americano”, non di tutto quel popolo perché gli Usa non sono mai stati così divisi all’interno per valori e interessi, da perseguire comunque, senza pietà (quella pietà che la vescova della diocesi di Washington Mariann Budde ha esortato Trump «in nome del nostro Dio» ad avere per coloro che negli Usa oggi hanno paura) nei confronti sia degli americani che non si riconoscono nel credo trumpiano sia di ogni altro stato del globo, senza distinzione tra alleati, partner, concorrenti, rivali sistemici.

La “spietatezza” nei confronti del resto del mondo - quella che interessa anche noi - verrà esercitata, a leggere gli ordini esecutivi, in una logica negoziale bilaterale, di mercanteggiamento transactional, come lo hanno già definito commentatori statunitensi, nella quale verrà fatto valere tutto il potere derivante dall’egemonia economica e tecnologica che gli Usa cercheranno di rafforzare in splendido isolamento. Un mercanteggiamento bilaterale che Trump vuole liberare da ogni vincolo derivante dai per lui ingombranti accordi di collaborazione internazionale. È per questo che l’ordine esecutivo America First Trade Policy (La politica commerciale di Prima l’America), prevede di rivedere tutti gli accordi commerciali a partire da quelli con Canada e Messico e compresa l’intesa con l’Organizzazione mondiale del commercio (il Wto) «per garantire che tali accordi siano attuati in modo da favorire i lavoratori e i produttori nazionali e non le nazioni straniere»; che l’ordine esecutivo Withdrawing the United States from The World Health Organization (Ritiro degli Usa dall’Organizzazione mondiale della Sanità), poi parzialmente ritrattato, avrebbe dovuto ri-ritirare gli Usa dal Who per «l’incapacità (del Wtho) di dimostrarsi indipendente dall’influenza politica inappropriata degli Stati membri» (vedi la Cina); e che l’ordine esecutivo Putting America First in International Environmental Agreement ritira gli Usa dalla “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”, gli Accordi di Parigi, perché «non riflettono i valori del nostro Paese o il nostro contributo al perseguimento di obiettivi economici e ambientali e indirizzano i dollari dei contribuenti americani verso Paesi che non richiedono, né meritano, assistenza finanziaria nell’interesse del popolo americano».

Tre atti da “secessione dei ricchi”, da parte di un Paese che pensa di poter fare meglio da solo o accompagnandosi solo agli Stati che possano contribuire alla nuova Golden Age (Età dell’Oro) promessa da Trump agli americani. Tutte scommesse che possono dare qualche beneficio agli Stati Uniti nel breve periodo a fronte di costi enormi addossati al resto del mondo. Ma scommesse piene di rischi. Le contromosse del resto del mondo, Cina in testa, ma l’Ue non potrà fare diversamente, sul piano economico e tecnologico; l’impossibilità di difendersi da soli, anche i più ricchi, da nuove pandemie, pur potendo contare su un apparato medico-scientifico di prim’ordine ; la collaborazione mondiale necessaria per difendere il clima del globo da alterazioni distruttive. In quest’ultimo caso siamo incredibilmente di fronte a una applicazione esemplare della terza legge di Cipolla sulla stupidità umana per la quale «uno stupido è colui che reca danni ad altri senza ottenerne alcun vantaggio o addirittura subendo una perdita»».

Ritirandosi dagli accordi di Parigi, Trump allinea gli Usa a Yemen, Iran e Libia, i soli altri non firmatari della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici. Nel farlo Trump danneggia il mondo intero rendendo più difficile il contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, conditio sine qua non per preservare la sopravvivenza umana sulla Terra. Ma, sopravvivenza umana, questo è il danno che Trump reca sé stesso, che riguarda anche le future generazioni di americani. La golden age di Trump non conosce nemmeno la solidarietà intergenerazionale per il popolo che dice di voler beneficiare.

D’altra parte, col cinismo di cui sono intrisi i cento ordini esecutivi: «Cosa hanno fatto per Trump le future generazioni di americani perché lui se ne debba preoccupare ora?». —

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