Il regionalismo pensato nel 2001 cambia senso con la globalizzazione

La sussidiarietà, che dava priorità al livello di governo più vicino, sembrava, ed era, la risposta migliore

Paolo Costa

La sentenza della Corte costituzionale che il 14 novembre scorso ha deciso sulla costituzionalità della legge sulla autonomia differenziata ci regalerà, questo è sicuro, altri mesi di acceso dibattito tra sordi: tra, da una parte, coloro che credono che l'autonomia differenziata sia la panacea che risolverà tutti i mali dell'Italia e, dall'altra, coloro che, al contrario, sono sicuri che l'ulteriore differenziazione regionale farà a pezzi il Paese.

Un dibattito senza fine

Il buon senso ci dice che non sarà né l'uno né l'altro. Anche perché le intese regionali, quando mai saranno sottoscritte, verranno a dar esecuzione oggi a una decisione – la riforma costituzionale del titolo V – presa 23 anni fa, nel 2001, per correggere un ordinamento regionale entrato in vigore trent'anni prima, nel 1970.

Nel 2001 l'autonomia differenziata – la differenziazione di competenze e poteri delle regioni a statuto ordinario da applicare nel "rispetto dei principi di unità della Repubblica, di solidarietà tra le regioni, di uguaglianza e garanzia dei diritti dei cittadini e di equilibrio di bilancio" (come ribadito dalla Corte costituzionale) – si sarebbe sicuramente dimostrata strumento utile a rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini grazie alla maggior "responsabilità" politica e alla miglior "efficienza" degli apparati pubblici di regioni ed enti locali.

La sussidiarietà nel 2001

Nel 2001 l'adattamento regionalmente differenziato dell'offerta di servizi pubblici altrimenti erogati dallo Stato sembrava la miglior soluzione nella ricerca del livello di governo meglio capace di interpretare i bisogni di prosperità, sicurezza e identità di famiglie e imprese appartenenti a una società e un'economia che al più dovevano confrontarsi con gli altri Stati membri e con le regioni dell'Unione europea di allora.

Bisogni allora di sicuro soddisfacibili in modo più efficiente rendendoli controllabili localmente. La sussidiarietà, che dava priorità al livello di governo più vicino, sembrava, ed era, la risposta migliore.

Un contesto globale cambiato

Ma il mondo di oggi assomiglia poco a quello del 2001. Il progresso tecnico nella produzione e nel trasporto esploso nei primi venti anni di questo secolo ha allargato i mercati e reso interdipendenti le società, potenzialmente fino alla scala globale, rendendo evidente che le "attese e i bisogni dei cittadini" necessitano più di risposte sovranazionali – nel nostro caso europee – che di risposte subnazionali: regionali o locali.

Le regioni nell'era globale

Per restare "padroni in casa nostra" dobbiamo riconoscere che quella di ogni regione italiana è oggi solo una "stanza" di una casa che per resistere alle intemperie deve diventare almeno europea. Fa tenerezza pensare alle nostre regioni che pensano di tutelare da sole il loro "commercio estero (e i rapporti internazionali con l'Unione Europea)" in un mondo nel quale gli accordi commerciali multilaterali vacillano e nel quale l'Unione europea dovrà presto affrontare la guerra dei dazi tra USA e Cina senza venirne stritolata. La responsabilità politica del nostro benessere si è dunque andata spostando verso l'alto europeo più che verso il basso regionale e locale.

La rivoluzione digitale

Ma oggi dobbiamo fare i conti anche con un'altra rivoluzione che tocca l'"efficienza" degli apparati burocratici. Cruciale perché è sul differenziale di efficienza tra burocrazia regionale e burocrazia statale che le regioni scommettono per crearsi, e sfruttare, lo spazio fiscale tra il tetto di spesa nazionale e il vincolo di equità dei livelli equivalenti di prestazioni (Lep). Soprattutto dopo l'esperienza del Covid-19, appare irreversibile il fatto che molti servizi resi dalle pubbliche amministrazioni non siano più forniti a ciascuno di noi, ma al nostro "gemello digitale". Se la mia interlocuzione con la pubblica amministrazione deve avvenire – come ormai anche il più piccolo comune richiede – colloquiando con il suo "gemello digitale", il suo sito, il suo server, il suo cloud, in cosa consiste il vantaggio di rivolgersi via internet a Venezia, a Firenze o a Napoli, anziché a Roma?

Il futuro dell'autonomia differenziata

L'efficienza dei servizi digitali e la responsabilità politica degli stessi non son più problemi che si risolvono con la "vicinanza" geografica. Anzi, perché le economie di scala giocano a favore di una fornitura centrale di questi servizi. Restano le nicchie dei servizi erogati faccia-a-faccia. È sulla fornitura di questi che andrebbe concentrata la concertazione fine delle competenze, anzi delle "specifiche funzioni legislative ed amministrative" (sentenza della Corte costituzionale) da affidare alla autonomia differenziata. C'è spazio e utilità per l'autonomia differenziata, ma chirurgicamente su misura.

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