Il silenzio di Giorgia Meloni su Marine Le Pen
La premier non ha profferito verbo sulla sventura di colei che avrebbe potuto scalzarla dal suo ruolo nell’agone europeo: dove Meloni si ritiene depositaria della funzione di mediatrice privilegiata con Trump

Il colpo è forte e si fa sentire, questo indebolimento del fronte dei Patrioti europei non ci voleva alla vigilia del congresso che lo incoronerà di nuovo segretario della Lega: che Matteo Salvini dunque sia molto contrariato lo si capisce dalla veemenza della sua reazione per la condanna di Marine Le Pen.
Che Giorgia Meloni non sembri affranta lo si intuisce dal commento con cui ha salutato la notizia. Un gelido silenzio. E dire che nel 2015 celebrava la vittoria dell’amica Marine come «il trionfo dei popoli contro gli inciuci di Palazzo».
Nel destino avverso, invece, neanche una parola. Come Federica Brignone ha contratto la mascella di fronte al capitombolo della sua rivale Alice Robinson nella finale per la Coppa del mondo, così la premier non ha profferito verbo sulla sventura di colei che avrebbe potuto scalzarla dal suo ruolo nell’agone europeo: dove Meloni si ritiene depositaria, magari più a torto che a ragione, della funzione di mediatrice privilegiata con il tycoon americano. Un primato che Le Pen le avrebbe tolto se fosse uscita vittoriosa (come i sondaggi pronosticavano) dalle prossime presidenziali in Francia.
La leader di FdI ha affidato al suo scudiero a Bruxelles, Nicola Procaccini, l’onere di un commento sdegnato, senza però far partire «un coro di tristi lai» come si confà per i lutti politici più partecipati. Ed è questo un segnale inequivocabile. Ma c’è qualcun altro che non si dispera per questo punto a favore dei moderati del Ppe, a discapito di una destra estremista.
Antonio Tajani: per la ragione specularmente opposta a quella del vicepremier leghista. Il leader della Lega si indebolisce in Europa, il leader di Forza Italia si rafforza in Italia. Con buona pace della stabilità di governo.
Perché è evidente che questa sconfitta dell’internazionale sovranista farà da volano alle invettive del Capitano contro la perfida Europa. Il quale si ritrova allineato con Vladimir Putin nel reclamare la democrazia perduta, ma guarda un po’. E ora ha buon gioco a scagliarsi contro la «dichiarazione di guerra da parte di Bruxelles, in un momento in cui le pulsioni belliche di von der Leyen e Macron sono spaventose»; e a usare la clava per avvertire «non ci facciamo intimidire, non ci fermiamo»: come a dire «ne vedrete delle belle, chi ci tiene più?»
Parole che trasformano Salvini in una sorta di Orbán in salsa italiana, che giustificano l’intenzione di nominare suo vice un estremista come il generale Roberto Vannacci; e che certo non appianano i rapporti tra Italia, Francia e Unione europea: proprio mentre la premier e il ministro degli Esteri sono alle prese con trattative insidiose: sui dazi , che possono stroncare la bilancia dell’export e la crescita economica; e sulla spesa per armamenti, che può dissipare il consenso degli elettori.
Perciò, se Salvini non esulta, la premier non può neanche brindare in segreto, stretta tra due istanze opposte: solidarizzare con la destra francese per l’estromissione della loro leader, cui forse farà da degno erede il giovane Jordan Bardella; e raffreddare le intemperanze dell’alleato di governo, lanciato come un rodomonte contro l’Europa che «tradisce il volere dei popoli».
Non a caso Meloni resta senza parole: altro capitolo della Via Crucis di una leader con il fiatone.
Riproduzione riservata © il Nord Est