L’impronta di Berlusconi sul governo
Quella del Cavaliere è stata una vera rivoluzione, un cambio di paradigma. Che ha sfruttato lo sfaldamento di un sistema politico e colto le trasformazioni più profonde della società italiana. Tutti gli attuali attori politici, e non solo a destra, ne portano in qualche modo i segni
È nato prima Berlusconi o la destra? Il governo Meloni sarebbe stato possibile senza l’esperienza del Cavaliere? Quella che stiamo vivendo è una prosecuzione della Seconda Repubblica (berlusconiana) o qualcosa di diverso, che affonda le radici in un passato più lontano e ci proietta in un futuro fatto di radicalismo e sovranismo?
Il tema si era posto dopo le ultime Politiche, con il ritorno al governo del centro-destra nella sua formazione-tipo. Si è continuamente riproposto, da allora, con la riattivazione degli schemi, le parole, i tic dell’epoca berlusconiana. A partire dallo scontro tra governo e magistratura che ha infiammato il dibattito di questa settimana (e non solo).
Negli stessi giorni, il partito della premier, per bocca di Giovanni Donzelli, è tornato sulla questione storico-genetica, in occasione del trentennale della svolta di Fiuggi.
Noi c’eravamo prima di Berlusconi – il succo dell’intervento del responsabile dell’organizzatore di FdI – e, soprattutto, ci siamo ora: al governo e in posizione dominante. Addirittura, la nascita di FI avrebbe frenato l’ascesa della destra, ritardandone la conquista della leadership governativa. Gli azzurri hanno subito risposto, ricordando il ruolo fondativo di Berlusconi. Ancor prima, lo sdoganamento degli eredi dell’Msi all’inizio degli anni Novanta.
Potremmo liquidare l’intera disputa rimandando all’eterno dilemma dell’uovo e della gallina. I processi evolutivi, del resto, mescolano sempre continuità e rottura. Nessuna innovazione avviene nel vuoto.
Ma quella di Berlusconi è stata una vera rivoluzione, un cambio di paradigma. Che ha sfruttato lo sfaldamento di un sistema politico e colto le trasformazioni più profonde della società italiana. Tutti gli attuali attori politici, e non solo a destra, ne portano in qualche modo i segni.
Giocano con regole imposte dall’inventore di FI, del centro-destra e della Seconda Repubblica, che forse non abbiamo mai lasciato.
È davvero limitativo, allora, affermare che Berlusconi, trent’anni fa, abbia solo “messo il cappello” – altre parole di Donzelli – su uno dei poli del nascente bipolarismo.
Il Cavaliere ha saputo convogliare e tenere insieme esperienze diverse, declinanti ed emergenti. Quella della destra post-missina è solo una di queste. Vale anche per il leghismo delle origini, all’epoca incompatibile con l’identità nazionale del partito di Fini. Vale per almeno una parte della tradizione centrista post-democristiana.
Ora, è vero che il centro-destra di oggi è diverso da quello del 1994. Che gli interpreti sono cambiati e in alcuni casi hanno cambiato nome. Che i successi, in Italia e in altri paesi, in questa fase storica, si ottengono a destra e su temi di destra. Ma è anche vero che, se FdI ha assunto la guida della coalizione e conquistato il governo, è stato anche perché, dal 1994 in poi, e soprattutto di recente, il partito è andato oltre i suoi tratti identitari e un passato ancora ingombrante.
Occupando uno spazio politico ben più ampio rispetto al bacino della destra tradizionale. Quello spazio coincide con quello disegnato, trent’anni fa, da Berlusconi. I leader di FdI farebbero bene a non dimenticarlo.
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