Inaccettabile il ricatto di Trump alle università americane

Il presidente è partito all’attacco di atenei come Columbia, Princeton e Harvard. I metodi di questa guerra ideologica al politicamente corretto lasciano basiti

Vincenzo Milanesi
Trump dal Maga è passato al Muga, cioè al Make Universities Great Again
Trump dal Maga è passato al Muga, cioè al Make Universities Great Again

Non contento di aver rottamato l’Occidente dal punto di vista geopolitico, e di aver scardinato l’assetto economico planetario con le sue tariff, il presidente Trump è partito all’attacco degli atenei americani: per dare maggiore concretezza al Maga, formula a cui ci siamo ormai assuefatti, siamo passati al Muga, cioè al Make Universities Great Again, secondo lo slogan lanciato da uno dei suoi ideologi, il giovane Christopher Rufo, figlio di immigrati italiani che ha studiato relazioni internazionali alla Georgetown e poi ad Harvard.

Per «fare di nuovo grandi le università» Usa (peraltro, almeno quelle della Ivy League e un certo numero di altri atenei, grandi lo sono già, e davvero, grazie a meriti scientifici) basta fare come la casa bianca sta facendo con la Columbia, con Princeton, con la Penn State e via elencando, fino ad Harvard, la più antica e prestigiosa. Che ha ricevuto anch’essa un ukase molto chiaro: se non si adegua, l’Amministrazione congelerà 2 miliardi di fondi federali a essa destinati.

L’ordine è perentorio: Harvard deve «ridurre il potere» di studenti, docenti e amministratori «più impegnati come attivisti che negli studi», di «interrompere subito tutte le facilitazioni basate sulla razza, la religione, il sesso o l’origine nazionale», «impedire l’iscrizione di studenti ostili ai valori americani» e via di questo passo. La verifica dell’obbedienza a queste prescrizioni sarà affidata a un organismo esterno gradito a Washington. Più commissariata di così...

Che Donald Trump volesse fare anche una “rivoluzione culturale” contro il politically correct imperante negli atenei, era chiaro. Ma sono i metodi di questa “guerra ideologica” che lasciano basiti. Sia chiaro: in quasi tutte le università americane la cultura woke è arrivata a livelli parossistici e talora grotteschi. Così come le manifestazioni pro-Pal sono talvolta degenerate in modo inaccettabile verso pratiche di autentico antisemitismo.

Ma un conto è sanzionare chi si è reso colpevole di violazioni di legge, altro è agire per contrastare una visione del mondo ritenuta errata con la «critica delle armi» invece che con «le armi della critica» sul piano culturale, per usare espressioni care a Karl Marx. E quale arma più letale per un ateneo che tagliargli i fondi? Se lo studente Mahmoud Kahlil che ha guidato le manifestazioni pro Gaza a New York è giudicato da un tribunale colpevole di qualche reato, è un conto. Ma se si viola il Primo emendamento della Costituzione americana che garantisce la libertà di espressione a tutti (studenti compresi), è altro. E pare che questo sia il caso di molti provvedimenti presi per incarcerare o revocare il visto a studenti di altri Paesi iscritti negli atenei Usa, come per esempio la studentessa turca della Tufts University Rumeysa Ozturk.

L’Età Moderna nasce con l’affermarsi dell’idea di tolleranza, alla fine delle guerre di religione del ’500 in Europa dopo la Riforma protestante: da quell’idea germoglia il diritto alla libertà di coscienza e di espressione, alla libertas philosophandi atque dicendi che Baruch Spinoza definiva un diritto inalienabile a metà del Seicento, e con lui John Milton autore di quell’Areopagitica che proclama sacra la libertà di scrivere e pubblicare le proprie idee.

Un secolo dopo, Voltaire, nel suo Trattato sulla tolleranza, scrive: «Non la penso come te, ma farò di tutto perché tu possa esprimere liberamente il tuo pensiero». Se lo leggessero, quel Trattato, The Donald e i suoi ideologi forse in Usa non si tornerebbe al Medio Evo. C’è da dubitare che ne capirebbero qualcosa.

Riproduzione riservata © il Nord Est