Influenza e ascesa dei supermiliardari

La questione si pone in modo inedito e dirompente con l’ascesa del ticket Trump-Musk: sono solo gli ultimi tra i miliardari che hanno conquistato le leve del potere politico

Fabio Bordignon
Elon Musk con Donald Trump
Elon Musk con Donald Trump

La congiunzione tra risorse economiche e risorse politiche non è certo una novità. Ma la concentrazione di super-poteri nelle mani di super-miliardari si pone in modo inedito e dirompente con l’ascesa del ticket Trump-Musk.

Sommandosi, in una miscela esplosiva, alle risorse tecnologiche e mediali controllate dal capo di Starlink e (Space)X. Con ricadute su scala planetaria.

Non deve stupire neppure che questo avvenga in una fase nella quale la sofferenza economica rimane diffusa, l’inflazione scala la lista delle emergenze e la percezione della distanza tra i pochi-che-hanno-molto e i molti-che-hanno-poco diventa intollerabile agli occhi di tanti. Lo certifica un sondaggio condotto dal Pew Research Center in 36 paesi.

La maggioranza delle persone – 57% il dato mediano – ritiene che il gap tra ricchi e poveri costituisca un problema molto rilevante. Si supera la maggioranza assoluta nel Regno Unito e nei principali paesi dell’Ue, inclusa l’Italia.

Ma anche negli Usa, dove il tycoon si appresta a insediarsi per la seconda volta alla Casa Bianca. Il suo potere economico, tuttavia, impallidisce rispetto a quello del principale sostenitore e possibile “ministro” – anzi, Doge.

Il quadro si precisa se guardiamo agli exit poll delle recenti presidenziali.

Ha votato Trump l’82% di chi riteneva la propria condizione economica peggiorata rispetto a quattro anni prima – e parliamo di quasi la metà dei votanti. Il 76% di chi – oltre un quinto degli intervistati – si ritiene seriamente danneggiato dall’inflazione. Chi ha poco, dunque, vota per chi ha molto? Il quadro è sicuramente meno netto se, dalle percezioni, spostiamo l’attenzione sui dati oggettivi.

Nel caso statunitense, la relazione tra voto e reddito (dichiarato) è incerta. Più forte il nesso con il grado di istruzione. Trump ha vinto anzitutto tra chi non ha conseguito un titolo universitario.

E guadagnato molto presso alcuni gruppi in maggiore tensione economica, come quello dei “latinos”. Quanto poi alla relazione fra condizione professionale e coordinate ideologiche, da tempo gli studi sconfessano l’idea che – ad esempio – gli operai votino a sinistra.

Lo scienziato della politica Lorenzo De Sio ha parlato persino di voto di classe “al contrario”, analizzando la trasformazione del Partito democratico – quello italiano – in “partito delle élite”.

Trump e Musk, d’altronde, sono solo gli ultimi tra i miliardari che hanno conquistato le leve del potere politico.

Come italiani, conosciamo bene il format, avendo sperimentato la lunga parabola del berlusconismo.

Quello che conta, in questi casi, non è certo l’oggettività di una comune appartenenza di classe. All’opposto, l’enormità della distanza in termini di ricchezza restituisce un’aura di straordinarietà e, al contempo, l’illusione di un successo a portata di mano.

Mentre l’allineamento dei gesti, del linguaggio, delle pulsioni annulla lo scarto rispetto alla gente comune.

La promessa di una rottura radicale con il presente e della restituzione di un passato idealizzato fa poi il resto. Rende possibile che chi ha poco si affidi a chi ha molto.

E se il molto è quel che sommano insieme Trump e Musk, resta poco (da fare) a tutti gli altri. 

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