L’Italia indecisa sul vertice europeo: uno sbaglio non esserci

L’Italia potrebbe essere assente al vertice convocato da Francia e Regno Unito per discutere della tregua in Ucraina. La premier Giorgia Meloni si trova divisa tra il legame con l’alleanza atlantica e le pressioni interne

Marco ZatterinMarco Zatterin
Il premier Giorgia Meloni
Il premier Giorgia Meloni

Lo dicevano i latini quando parlavano della spartizione delle eredità: «Gli assenti hanno sempre torto». Con un ragionamento lineare, avvertivano della doppia circostanza infausta provocata dall’essere altrove nei momenti importanti, quella di escludersi dalle decisioni e quella di non poter difendere le proprie convinzioni e i propri diritti. Così consigliavano ai saggi di partecipare sempre, di giocare in prima persona, per evitare di essere marginalizzati.

È una lezione facile e importante, eppure sino all’ultimo non sapremo se l’Italia oggi si collegherà al vertice della “coalizione di volenterosi” convocato da Francia e Regno Unito per discutere dei piani di tregua in Ucraina, e delle possibili mosse dell’Europa in senso lato. Il motivo ufficiale è l’indisponibilità di Roma a inviare truppe per sostenere un eventuale armistizio, e garantirne gli effetti per Kiev, senza l’ombrello dell’Onu. È un punto di vista legittimo. Tanto che sarebbe giusto e opportuno affermarlo di persona, e magari cercare di convincere gli altri che la soluzione è questa.

Le incertezze di Giorgia Meloni hanno tre fattori scatenanti. Da un lato, la premier fatica ad accettare che britannici e francesi abbiano preso le redini del complicato gioco ucraino e, in particolare, non sopporta per ragioni anche personali l’attivismo del presidente Macron.

Dall’altro, nel nome del legame costruito con Donald Trump e dei fastidi covati nei confronti di integrazione europea, non si schiera con convinzione dalla parte di quanti (tutti meno lei e Orbàn) vogliono vedere se è possibile dare un senso al Vecchio continente nel settore della difesa. Infine, nel giorno delle piazze pro-Ue, e costretta a gestire il duello intestino fra l’europeismo di Forza Italia e il violento scetticismo dal sapore putiniano della Lega, vuole evitare l’imbarazzo di sedere a un conclave che potrebbe portare sostanza sul tavolo della pace.

Ci vuole responsabilità, e distacco dalle questioni interne, nell’affrontare la realtà globale, soprattutto quando è dura come in questi mesi. È naturale che Francia e Regno Unito si muovano all’unisono: sono due potenze atomiche, membri permanenti nel Consiglio di sicurezza Onu. Stanno tentando di ricomporre il fronte occidentale, con l’effetto inatteso e promettente di riportare Londra a parlare con gli ex partner dell’Ue. Non si tratta di ri-armarsi, come maldestramente ha titolato nel documento strategico la Commissione Ue: la difesa c’è già (gli Stati europei spendono più della Russia), bisogna di renderla più efficiente, soprattutto alla luce del disimpegno minacciato dagli alleati americani.

Per questo, dal summit di Londra si auspica una pressione decisa perché Mosca accolga la tregua di trenta giorni proposta da Zelensky con gli americani, passo che potrebbe prevedere un impegno formale a schierare delle truppe non solo europee per garantire che non riprendano le ostilità. L’Italia non lo vuole, ma ciò non toglie che dovrebbe esserci – e c’è chi scommette che alla fine ci sarà.

Comunque finisca la brutta storia seguita all’aggressione russa contro Kiev, non sarà l’America a salvare l’Europa se quest’ultima non saprà prendere il proprio destino in mano, dialogando senza eccezioni con chiunque sia disposto a farlo. Perché, come ammoniva il filosofo gallese Bertrand Russell, nelle vite dei popoli ci sono solo due opportunità: co-esistenza o no-esistenza. 

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