La guerra ibrida di Putin e la debolezza dell’Europa

La decisione della corte costituzionale di Bucarest che annulla le passate elezioni presidenziali non usa mezzi termini per l’attività di Mosca in sostegno del candidato Georgescu

Peppino Ortoleva
Bandiere della Romania e, sulla destra, dell’Unione europea. Il futuro del Paese è ancora da scrivere
Bandiere della Romania e, sulla destra, dell’Unione europea. Il futuro del Paese è ancora da scrivere

“La Romania è stata oggetto di azioni aggressive”. La decisione della corte costituzionale di Bucarest che annulla le passate elezioni presidenziali non usa mezzi termini per l’attività di Mosca in sostegno del candidato Georgescu.

Quello che colpisce non è il riconoscimento dell’aggressione, ma il fatto che una simile esplicita presa d’atto sia arrivata così tardi. In realtà è da molto, molto prima che la Russia persegue attività di quel tipo, in diverse parti del mondo.

Da prima che l’espressione stessa “guerra ibrida” venisse coniata, a quanto pare nel 2007.

Dev’essere chiaro che quel termine non indica un’azione meno violenta della guerra vera e propria: tutto il contrario.

Evidenzia che agli ordigni “classici” (dalle mine antiuomo alla bomba atomica) si aggiungono altri strumenti, come l’assassinio a distanza di oppositori o le azioni terroristiche, o appunto l’uso dell’informatica per manipolare le opinioni pubbliche di paesi trattati come nemici. Sono armi in più rispetto al passato, per conflitti ancora più pericolosi, e potenzialmente interminabili.

Oltre la Romania, è una guerra di questo genere che la Russia persegue da tempo anche in Georgia, dove all’azione anche informatica in appoggio del partito filorusso “Sogno georgiano” che sta impedendo l’adesione del paese all’Unione Europea si affianca quella repressiva e sistematica della polizia contro i dimostranti pro-democrazia. Azioni analoghe avvengono in Moldova, e nell’Asia centrale ex-sovietica.

E in Europa orientale in favore delle crescenti formazioni “rossobrune”, neonaziste e antioccidentali, vicine ideologicamente al tradizionalismo di Putin quanto alla sua ostilità verso la democrazia. L’obiettivo immediato è boicottare la Nato, quello ultimo sarebbe imporre ovunque il modello della Bielorussia e riportare tutto l’ex-impero sovietico sotto il controllo di Mosca come un insieme di “protettorati”.

Non dobbiamo nasconderci che in Europa orientale in particolare ci sono seri motivi per il radicamento delle forze che sostengono Putin e insieme si richiamano a un passato terribile: quel Georgescu che aveva “vinto” col sostegno russo le presidenziali romene esalta senza mezzi termini l’azione assassina della “Guardia di ferro” degli anni Trenta nel suo paese.

Dalla Germania est alla Romania è forte la delusione verso l’occidente che al tempo della caduta del muro si era presentato non solo come la via d’uscita dopo anni di dittatura ma anche come una promessa di democrazia e prosperità presto e senza costi, mentre ora si manifestano una diseguaglianza e una povertà crescenti, spesso con servizi più scadenti che in passato.

E ci si rende conto che le economie occidentali a cominciare dalla Germania federale hanno condotto per anni un’azione di rapina. Inoltre nella fretta di aggregare quei paesi all’Europa, e nell’illusione di un trionfo indolore della democrazia, non è stata mai condotta un’azione di pulizia e punizione nei confronti dei crimini e criminali del periodo totalitario: così alcune delle vecchie reti di potere hanno continuato a funzionare, pronte ora ad allearsi con l’ex-agente del Kgb Putin.

L’aggressione “ibrida” di Mosca trova quindi terreno fertile. Ma parlare come fanno tanti di un Putin aggredito e di un occidente che lo aggredirebbe significa praticare quell’inversione del linguaggio che fu descritta da George Orwell come tipica della mentalità totalitaria, per cui “la guerra è pace”, “la dittatura è libertà”.

Così fa, oggi, chi dice che “Putin è la vittima”.

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