L’Aja e i princìpi alla base della civiltà
Il rispetto di ciò che viene stabilito dalla Corte Penale Internazionale, che opera in base a esso, è affidato ai singoli Paesi che volontariamente e liberamente hanno sottoscritto lo Statuto di Roma, origine delle norme ispirate da quei princìpi
Che senso hanno le incriminazioni della Corte Penale Internazionale dell’Aia per crimini di guerra, o contro l’umanità, se i mandati di cattura che emette possono tranquillamente non essere eseguiti?
I governi di Germania, Francia, Italia, tanto per dire, hanno già detto che non arresteranno né Vladimir Putin e né Benjamin Netanyahu, pur incriminati, perché in godono di una forma di immunità.
E il generale libico Almasri è stato rimpatriato dall’Italia in tutta fretta, al netto delle polemiche con la Corte Penale Internazionale da parte del patrio governo (e tra il medesimo e la magistratura, come ormai sappiamo), in ossequio - però non dichiarato - alla “ragion di Stato”.
Quindi, sono come le “grida” del vicerè spagnolo de I promessi sposi, cioè leggi e ordinanze che nessuno rispetta? Alla base di quelle incriminazioni c’è un diritto di tipo particolare, il cosiddetto Diritto internazionale umanitario, espressione di una civiltà giuridica che si ispira a princìpi che travalicano le competenze dei sistemi di norme dei singoli Paesi.
Il rispetto di ciò che viene stabilito dalla Corte Penale Internazionale, che opera in base a esso, è affidato ai singoli Paesi che volontariamente e liberamente hanno sottoscritto lo Statuto di Roma, origine delle norme ispirate da quei princìpi.
Sono 124, più l’Ucraina aggiuntasi di recente.
Tra i quali Paesi non ci sono però né gli Stati Uniti né la Federazione russa, né Israele.
Si può parlare seriamente di queste norme il rispetto delle quali è affidato, diciamo così, alla buona volontà, e alla forza coercitiva, dei Paesi che hanno liberamente, per loro scelta, aderito a un Trattato? Sottoscritto da un numero elevato (più della metà di quelli che fanno parte dell’Onu), ma non riconosciuto da “pezzi da novanta” sullo scenario globale come quelli appena citati? Insomma, a che servono se basta, per renderle lettera morta, la scelta di uno Stato pur aderente a quel Trattato di non rispettarle, in una determinata circostanza, non esistendo una forza militare, o simile, che obblighi a farlo? È proprio questo il punto.
Esiste una distinzione, rozza fin che si vuole, ma tutt’altro che priva di significato, tra un sistema di norme giuridiche e un insieme di norme morali, che separa le leggi emanate dagli Stati dalle norme di origine religiosa, o da quelle morali, il rispetto delle quali non è affidato alla forza di apparati istituiti appositamente da uno Stato.
Ora, queste forme di legislazioni che si pretende siano valevoli a livello sovra-nazionale, cioè al di là dei sistemi normativi dei singoli Stati, sono tentativi di far rispettare norme di un diritto che si definisce “umanitario” proprio perché ritenuto come valido per tutti gli esseri umani, al di là del loro essere cittadini di uno Stato.
Insomma, un “diritto delle genti” (che richiama lo ius gentium della tradizione antica rinata con il “giusnaturalismo” nel Seicento) che rimanda a norme morali universali, da rispettare anche quando gli Stati si fanno guerra tra loro e non c’è un organismo sovra-nazionale che può farle rispettare.
Non serve a nulla, allora? Tutt’altro. Anche se la Corte Penale Internazionale è priva del potere coercitivo diretto, gli atti di questo “tribunale dell’umanità” indicano una strada, sono dei rilevanti segnavie per lo sviluppo di una civiltà più umana.
Che non è lecito all’uomo, a nessun uomo, e nemmeno alle comunità di uomini che chiamiamo Stati, disperare di raggiungere, prima o poi, nella storia del genere umano.
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