Le contraddizioni di Meloni sull’Unione Europea
Quanto l’elettorato italiano sia consapevole dei profili istituzionali dell’integrazione europea non è chiaro, nonostante il successo della Piazza per l’Europa

Jean Monnet e Jacques Delors ci hanno insegnato che è nei momenti di crisi che il processo di costruzione dell’unità europea prende slancio verso una crescente integrazione. Anche i cittadini europei sentono, allora, vivo quel sentimento di unità che li induce ad accettare mosse innovative della politica, se non addirittura a sollecitarle.
Quanto è avvenuto in queste settimane conferma quella opinione: per un verso sul fronte dell’Ue la Commissione ha avanzato proposte che interessano un’area, quella della difesa, sulla quale poco o niente era sin qui intervenuta, e, d’altra parte, da noi, cittadini che l’affluenza alle urne induceva a ritenere non interessati, si sono mobilitati per un grande raduno in piazza del Popolo a Roma per riaffermare i valori a suo tempo espressi nel Manifesto di Ventotene, che – come ha detto la presidente maltese dell’Europarlamento – rappresenta una tappa fondamentale nel processo di integrazione europea.
Di fronte ad entrambe le vicende la presidente del Consiglio ha reagito con insofferenza. E ha aspramente criticato l’opera di Spinelli, Rossi e Colorni, provocando violente censure da parte dell’opposizione. A questa, secondo l’opinione di taluno, sarebbe stata tesa una trappola giacché obiettivo di Meloni sarebbe stato quello di distrarne l’attenzione dai temi politici del giorno.
Forse le cose non stanno proprio così, l’obiettivo non era un trappolone, ma mettere ancora una volta sul tavolo la concezione di Unione europea che chi ama farsi definire premier, coltiva. Anche se motivata a difendere quelli che Benigni ha definito eroi dell’europeismo antifascista, l’opposizione doveva replicare contrapponendo a una visione sovranista dell’Ue una visione di effettiva integrazione. Alla base della censura del Manifesto di Ventotene sta la dottrina della salvaguardia della sovranità degli Stati nazionali con ripudio di passi verso l’integrazione quali, ad esempio, l’introduzione del voto a maggioranza nel Consiglio europeo e conseguente ripudio della regola dell’unanimità, ovvero l’istituzione di una difesa comune.
Una parte dell’opposizione ha colto quest’ultimo profilo criticando la proposta della Commissione di riarmare gli Stati favorendone il ricorso al debito, ma a proposito di Spinelli, Rossi e Colorni si è fermata alla difesa della loro memoria, tacendo della contrapposizione istituzionale della presidente del Consiglio. Eppure nei discorsi di questa c’è una contraddizione quando, pur rifiutando una più stretta integrazione europea, accetta i finanziamenti del Pnrr chiedendone, anzi, la proroga, e sollecita un debito europeo comune per finanziare le spese di difesa. Il quale debito comune ha un senso solo se con piani comuni si concentrano le spese nella creazione di una forza comune o almeno nel coordinamento delle forze degli Stati, evitando dispersioni di fondi che l’autonomia di spesa di questi ultimi provoca.
Quanto l’elettorato italiano sia consapevole dei profili istituzionali dell’integrazione europea non è chiaro, nonostante il successo della Piazza per l’Europa. Al momento del confronto elettorale e della formazione del governo, la maggioranza non ha parlato esplicitamente. Forse sarebbe opportuno che a questo ponga rimedio chi difende il sovranismo accusando gli autori del Manifesto di essere antidemocratici quasi che il loro discorso non si limitasse a spostare la decisione democratica per certe materie dal livello nazionale a quello federale.
Riproduzione riservata © il Nord Est