L’identità che serve alla Lega
L’eventuale fine dell’esperienza di Luca Zaia alla guida del Veneto, dopo 15 anni, sarà senza dubbio uno scossone molto forte e per assorbirlo la Lega ha bisogno di una coesione più forte di quella dimostrata di recente

Nel discorso con cui ha aperto l’assemblea della Lega a Padova, il vicesegretario federale Alberto Stefani ha pronunciato 49 volte la parola identità (anche con una variante, identitario).
Quarantanove citazioni in circa 20 minuti comprensivi di saluti, ringraziamenti e interruzioni per gli applausi sono un numero ragguardevole.
Forse è comprensibile, considerato che la mozione di Stefani al congresso leghista del prossimo fine settimana porta nel titolo “identità”. Ma solo fino a un certo punto. Intanto perché il nome completo del documento di Stefani è “Futuro e identità”, però nell’intervento di ieri della parola futuro si sono perse le tracce. Ma soprattutto perché questa ripetitività, questa sottolineatura insistita, quasi ossessiva, nel rivendicare l’identità del partito, testimonia che la priorità della Lega è in realtà ritrovare una chiara identità, che faccia giustizia di equivoci e cambi di linea.
Recuperare un’identità che con il tempo ha visto sfumare i contorni è un’esigenza giustificata da più situazioni e particolarmente forte a Nord Est, a cominciare dal Veneto, dove sia alle politiche del 2022 sia alle Europee dello scorso anno Fratelli d’Italia ha più che raddoppiato i voti del Carroccio (un copione che si è ripetuto anche in Friuli Venezia Giulia). Dati che hanno spinto Salvini, dal palco di Padova, a scandire l’obiettivo di voler tornare primo partito
Certamente le elezioni regionali avranno un esito diverso nella sfida interna al centrodestra, ma perché possa essere in sintonia con le speranze leghiste serve cementare il partito. In particolare, se il 9 aprile la Consulta chiuderà l’ultimo spiraglio al terzo mandato per i presidenti di regione.
L’eventuale fine dell’esperienza di Luca Zaia alla guida del Veneto, dopo 15 anni, sarà senza dubbio uno scossone molto forte e per assorbirlo la Lega ha bisogno di una coesione più forte di quella dimostrata di recente.
Stefani lo sa bene e ne ha dato dimostrazione con il suo discorso, in cui ha messo in fila tutte le parole d’ordine di una Lega che ambisce a recuperare un legame più stretto con il territorio: le istanze autonomiste, il ruolo dei sindaci, la forza della comunità e della partecipazione, il fisco, l’impresa, i giovani, la questione migratoria, i valori religiosi.
Un anticipo di programma elettorale, viste le sirene che lo vogliono – se come possibile toccherà alla Lega esprimerlo – nel ruolo di favorito per la successione di Zaia.
Un richiamo identitario accolto con entusiasmo dalla platea e che certamente avrà condiviso con il suo segretario. Ma qui sta il punto. Perché Salvini scrive poi un vocabolario leghista che contiene altre definizioni e dove posizioni più estreme si spiegano forse con la sua necessità di trovare uno spazio politico di visibilità rispetto a Giorgia Meloni e, in misura minore, anche a Forza Italia, ma certo suonano stonate per moltissimi militanti. Vale per le alleanze europee (il rapporto con Orban è un caso emblematico), per il ruolo di Vannacci nel partito, per la posizione diciamo tiepida sui dazi.
Ha molto colpito, a esempio, l’invito che il vicepremier ha detto di aver rivolto al vicepresidente statunitense Vance perché venga a Cortina per i Giochi. Quel Vance al quale Salvini guarda come interlocutore privilegiato, ma che ha appena preso a schiaffi l’Europa e quindi, indirettamente, l’Italia.
Questa Lega dai due volti ha per il momento un collante, evocato da tutti i leader e condiviso da ogni simpatizzante. È l’autonomia, che viene usata come elemento pacificatore: è vero, ci sono visioni diverse, ci sono priorità che divergono, ma se c’è l’autonomia – questo è il ragionamento – tutto può essere ricomposto.
Il fatto è che la legge, oggettivamente un successo legista, dopo l’approvazione dell’anno scorso ristagna tra sentenze che ne correggono il tiro e ingorghi amministrativi che ne complicano l’applicazione.
La sfuriata che il ministro Calderoli ha affidato l’altro giorno al nostro giornale è il sintomo di un’irritazione crescente verso un risultato per ora soltanto sfiorato. E il trascorrere dei mesi senza vederlo pienamente raggiunto rischia di diventare un fattore detonante dentro il Carroccio.
Un’autonomia concretamente operativa potrebbe rivelarsi il fattore decisivo per la ricerca di un’identità precisa.
Salvini ne è consapevole al punto da rilanciare l’equazione “autonomia è sovranismo”, attraverso la quale prova a conciliare le istanze territoriali e il posizionamento in Europa. Un espediente certo utile per scavalcare l’appuntamento congressuale che lo confermerà segretario, ruolo che ricopre da oltre 11 anni.
Ma che non basterà per esercitare un ruolo più definito nella coalizione di centrodestra così come nei territori in cui la Lega è nata e cresciuta.
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