I falsi paladini della libertà di parola
Nei numerosi attacchi contro l’Unione Europea da parte di membri dell’amministrazione Trump, o di oligarchi della sua cerchia, spicca l’accusa di violare la libertà di parola con regole repressive «che negli Usa non sarebbero concepibili»


Nei numerosi attacchi contro l’Unione Europea da parte di membri dell’amministrazione Trump, o di oligarchi della sua cerchia, spicca l’accusa di violare la libertà di parola con regole repressive «che negli Usa non sarebbero concepibili».
In questi termini il vicepresidente J.D. Vance ha imputato l’Ue di reprimere alcune posizioni dell’estrema destra o a favore di Putin. E secondo i proprietari delle principali piattaforme social - a cominciare da Elon Musk - vanno soppressi tutti gli interventi sulle conversazioni on line volti a evitare messaggi di odio o notizie palesemente false. E andrebbero soppressi gli interventi dell’Ue contro lo strapotere dei giganti del web.
Come mai allora questi pretesi difensori della libertà agiscono senza scrupoli per negare la parola a posizioni e soggetti non graditi? Lo stesso Musk ha vietato l’accesso alla sua piattaforma X (già Twitter) a forze che in Turchia si battono contro il presidente Erdogan e le sue azioni arbitrarie per sopprimere le opposizioni.
Jeff Bezos, il proprietario di Amazon recentemente scopertosi sostenitore di Trump, sta imponendo al Washington Post da lui acquistato anni fa una linea politica molto lontana dalle tradizioni del giornale e ha allontanato alcune delle voci più autorevoli.
La libertà di cui costoro parlano vale soltanto per i proprietari di piattaforme e testate, perché possano decidere arbitrariamente quali discorsi fare circolare e quali no.
Inoltre sono gli stessi proprietari di social come Facebook, Instagram e X a utilizzare algoritmi finalizzati a dare la massima visibilità alle posizioni più aggressive, in particolare quelle cospirazioniste e di estrema destra.
Questa strategia è molto utile non soltanto a fini commerciali, perché più spazio si dà a messaggi fanatici più ci sarà chi li ritrasmette o sente il bisogno di rispondere moltiplicando così il traffico, ma serve anche ai fini più direttamente politici di quella destra cui le maggiori compagnie del web si sono allineate.
La libertà di manifestazione del pensiero, come è definita dalla nostra Costituzione, è una delle prime e più importanti di tutte le democrazie. Ma con alcuni limiti a cominciare dal vietare di infamare altre persone.
Le norme invece contro la diffamazione sembrano non valere affatto nel web sia per la difficoltà di ricostruire chi ha postato i messaggi sia perché i proprietari delle piattaforme a differenza dai proprietari delle testate giornalistiche non sono corresponsabili dei danni a chi è vittima di calunnia. In questo modo le accuse più infamanti e infondate ottengono impunemente la massima visibilità.
Anche per la manifestazione del pensiero dovrebbero valere almeno le stesse regole che valgono in generale contro i monopoli, anzi di più, perché in questo campo oltre la libera concorrenza va difesa la pluralità delle voci. E si dovrebbe impedire che si lasci a pochi imprenditori la possibilità di controllare miliardi di comunicazioni che circolano in tutto il mondo utilizzando a proprio vantaggio le informazioni immesse nella rete.
Soltanto nel nostro continente vengono però presi provvedimenti in questo senso: uno dei motivi principali - insieme con le norme ecologiche - dell’astio dell’amministrazione Usa contro l’Ue.
Questi pretesi difensori della libertà di parola agiscono in realtà perché la manifestazione del pensiero venga in tutti i modi controllata, manipolata, limitata. Esaltano verbalmente un principio che combattono, violentemente, nei fatti.
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