L’Unione Europea e un rinnovato modello di coesistenza
L’Europa ha la possibilità di mettere fine alla perenne oscillazione che ne ha segnato fino a oggi il cammino, tra l’essere cioè la nostra migliore speranza per il futuro o semplicemente una buona idea mal realizzata


Sotto la pressione dei fronti di crisi che ci angosciano, l’Europa ha la possibilità di mettere fine alla perenne oscillazione che ne ha segnato fino a oggi il cammino, tra l’essere cioè la nostra migliore speranza per il futuro o semplicemente una buona idea mal realizzata.
È il momento di un’operazione verità. La scelta è prima di tutto in capo a chi rappresenta e guida l’Unione e gli Stati che ne fanno parte, naturalmente, ma sbaglieremmo a non pensare che interroga anche ognuno di noi e il nostro rapporto con l’Europa.
Quanto davvero ci sentiamo cittadini europei? E che cosa vuol dire realmente esserlo? Se dovessimo pensare ad esempio a quanto sappiamo (e ci interessa sapere) dei Trattati o a che cosa possa legare in profondità un italiano a un lettone o un ungherese, temo andremmo incontro a risultati deludenti.
Ma questo è un errore da evitare. pei non significa accantonare la propria identità nazionale e sostituirla con la chimera di un’identità europea. D’altronde, senza una lingua comune e con una storia di Stati che nei secoli e fino al 1945 si sono combattuti a più riprese, sarebbe difficile immaginare il contrario.
Il punto è capire che l’Europa non è e non potrà mai essere un algoritmo che appiana le differenze, ma è una forma politica che va oltre gli Stati nazionali, un ambiente nel quale le differenze vengono considerate una ricchezza e trovano il modo di convivere.
Un luogo del quale non è detto che ci si debba innamorare, ma in cui possiamo riconoscerci perché ci sentiamo tutelati da una piattaforma di valori sui quali costruire le risposte alle emergenze che abbiamo davanti e progettare un modello futuro di convergenza e coesistenza tra popoli.
Se partiamo da qui, sarà più facile trovare una strada comune. Anche su un tema delicato e divisivo come la Difesa europea. L’aspirazione alla pace è fra i principi costitutivi dell’Ue e nessuna persona di buon senso potrebbe non desiderarla con tutte le proprie forze. Ma è anche giusto che l’Europa ragioni di una propria autonomia politica-militare dopo 80 anni nei quali si è riparata sotto un ombrello americano che Trump minaccia di riporre.
Una politica di Difesa - è bene essere chiari - che permetta all’Europa di esercitare un pacifismo attivo, una capacità di mediazione autonoma e di composizione delle crisi che appartiene alla sua natura e di cui c’è gran bisogno considerato il piano inclinato sul quale il mondo sta scivolando.
Un’Europa più protagonista serve in economia, non soltanto nel braccio di ferro con i dazi made in Usa, ma per una politica di rafforzamento e sviluppo che contrasti i rischi di impoverimento presenti in molte fasce sociali. Serve per la difesa dei diritti, per il welfare, per la tutela dell’ambiente, per le scelte di approvvigionamento energetico.
Non si tratta di voler diventare i salvatori dell’umanità, ma di prendere coscienza di una necessità non rinviabile: in questo mondo sempre più sregolato e di blocchi contrapposti, l’Europa può conquistarsi un ruolo e un futuro come sistema che favorisce l’applicazione delle regole capaci di contrastare il caos. E dare così la migliore risposta su che cosa significhi essere cittadini europei.
Riproduzione riservata © il Nord Est