Manovra: mosse sensate, ma solo le riforme ci salveranno

L’Italia non corre, i consumi sono fiacchi. S’impone una politica economica di lungo termine che favorisca gli investimenti (soprattutto privati) a vantaggio di imprese e lavoratori, intervenga su asili e ospedali, renda il Fisco più equo

Marco ZatterinMarco Zatterin
Incontro a palazzo Chigi tra i sindacati confederali e il Governo sulla manovra
Incontro a palazzo Chigi tra i sindacati confederali e il Governo sulla manovra

Il nastro che tiene insieme la terza manovra del governo Meloni è blu con le stelle gialle. Al di là dei singoli provvedimenti, e del precetto reiterato di accontentare molti anche se con poco, la legge di Bilancio per l’anno che verrà mostra anzitutto un concreto afflato europeo, perché – sulla carta – consente di rispettare il calendario a cui Roma si è impegnata per riportare in 24 mesi il deficit sotto il fatidico 3 per cento del Pil.

La strada appare corretta, lastricata (in modo non omogeneo) da un vasto numero di interventi, sgravi, bonus, aiuti, fra i quali svetta l’attesa riduzione strutturale del cuneo fiscale per chi guadagna sino a 40 mila euro. È questa la mossa che fa la differenza per chi lavora e per le imprese. Il resto è una pioggia di cose che sembrano più che essere e, per questo, non cambieranno il tono di un’Italia che cresce meno di quanto potrebbe, e soffre perché le diseguaglianze economiche, sociali e culturali si stanno ampliando.

La premier, insieme col guardia-di-cassa Giorgetti, ha sventato l’assalto alla diligenza che contraddistingue la politica in genere, e quella nostrana in particolare. Ne risulta una manovra da 30 miliardi, un terzo dei quali sarà bruciato dal “cuneo”. Nel complesso, il voto alla Camera accetta il ridimensionamento di alcune promesse elettorali, costose e impraticabili alla luce del terzo debito planetario.

Lo slogan leghista «aboliremo la Fornero» è vittima del buonsenso contabile e viene in parte sostituito da un nuovo vitalizio a 64 anni su base contributiva rivolto a una platea ridotta. Un visibile taglio alle tasse del ceto medio dovrà attendere tempi migliori. Al “ponte Matteo” sullo Stretto va meno della metà dei fondi richiesti. I paletti per la riduzione di quattro punti dell’Ires sulle imprese sono stretti, così lo sconto finirà a un numero di aziende ridotto e già in salute. La pressione fiscale risulta comunque, nella media, in espansione.

L’attenzione al sociale è palese. Di nuovo, però, le dotazioni rese disponibili per famiglia, scuole e salute colmano qualche buco senza poter sperare di fermare fenomeni devastanti come l’analfabetismo funzionale e la fuga da una sanità pubblica che alterna eccellenze a situazioni da terzo mondo. La maggioranza promuove compatta un Bilancio in cui le diverse anime del centrodestra, tirando ognuna dalla sua, hanno costruito un castello che è in troppi luoghi e in nessun luogo davvero.

Si può anche considerare tutto questo un inevitabile frutto dei tempi, ma sarebbe grave rinunciare a chiedere di più. L’Italia non corre, i consumi sono fiacchi. A dicembre avremo solo mezzo punto di crescita, mentre sono 689 giorni che la produzione industriale cala. S’impone una politica economica di lungo termine che favorisca gli investimenti (soprattutto privati) a vantaggio di imprese e lavoratori, intervenga su asili e ospedali, renda il Fisco più equo.

Occorre accelerare le riforme, per le quali non c’è bisogno di fantasia. Il piano, dalla concorrenza al catasto, è scritto negli impegni presi con l’Europa per i quali passa il rilancio del Paese.

Una volta attuato, renderebbe quasi (quasi!) perdonabili le purtroppo ordinarie mance alle parrocchie, la sospensione delle multe ai no vax, i soldi ai ministri e qualche condono di troppo.

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