Da mediatrice a spettatrice: la parabola di Meloni sul dossier Ucraina

Sulla ricerca di una pace tra Kiev e la Russia la presidente del Consiglio si trova costretta ad andare a traino dei partner più influenti. Forse sarebbe opportuno un cambio di strategia

Carlo BertiniCarlo Bertini
La premier Meloni, in alto a destra, al vertice di Londra sull’Ucraina. Il suo ruolo si fa meno centrale.
La premier Meloni, in alto a destra, al vertice di Londra sull’Ucraina. Il suo ruolo si fa meno centrale.

E l’Italia che ruolo ha?, ci si domanda leggendo le tambureggianti cronache diplomatiche con le ultime notizie sulla ricerca di una pace in Ucraina. Giorgia Meloni da potenziale mediatrice tra Europa e Usa, nel giro di una settimana si è trasformata suo malgrado in spettatrice dei giochi consumati intorno al cruciale dossier, in cui i protagonisti sono con tutta evidenza Russia, Stati Uniti, Ucraina e per l’Europa Francia e Gran Bretagna; con la Germania in un ruolo più angolare ma incisivo grazie alla leadership del nuovo cancelliere Merz.

E l’Italia seduta al lato del tavolo, come nella foto del vertice di domenica 2 marzo a Lancaster House a Londra: un tavolone a U dove il premier inglese e francese, Starmer e Macron, sedevano al centro, tenendo banco per gestire la sciagurata crisi dei rapporti tra Usa e Ucraina.

Non a caso sono le due potenze nucleari europee a dare le carte in un gioco ben più grande del Belpaese, per questo Meloni si trova costretta ad andare al traino dei suoi partner più influenti. I quali stanno anche ingaggiando un braccio di ferro su chi si intesterà la proposta con più prospettive di riuscita, parallelamente al lavoro degli sherpa sulla risoluzione che uscirà giovedì 6 marzo dal consiglio europeo straordinario.

Il presidente francese Macron fa la parte della lepre per un cessate il fuoco di un mese nei cieli, in terra e nei siti più strategici dell’Ucraina, una tregua propedeutica ad un accordo più duraturo. Una sorta di prova del nove della volontà di Putin di fare la pace.

Cautela dunque, triangolazioni oltreoceano (Starmer e Macron torneranno insieme a Washington da Trump) ma accelerazione su tutti i fronti: così anche sulla composizione di una forza di peacekeeping, che nei disegni delle due potenze nucleari europee dovrebbe esser costituita da inglesi, francesi, canadesi, turchi e ad altri Stati del Nord, senza che venga menzionata l’Italia, anche perché il nostro governo ha frenato su questo impegno di lunga lena e larga spesa.

Ma allora, non sarebbe forse un modo dignitoso per riconquistare un sano protagonismo, rimettere sul tavolo un piano più strutturale, bocciato proprio dalla Francia nel 1954, ma proposto originariamente proprio da Jean Monnet (e sostenuto da Altiero Spinelli), che alla luce degli avvenimenti odierni torna di enorme attualità? Quello della Comunità europea di Difesa, la Ced, un esercito europeo sotto il comando della Nato, coordinato da un ministro europeo della Difesa, in cui le nazioni partecipanti dovrebbero devolvere una loro divisione, mantenendo un esercito nazionale.

Cosa di più lungimirante se non questa idea di europeisti illuminati potrebbe riportare sul proscenio il Paese che la rilancerà? Una riscrittura dei trattati potrebbe ripartire da qui e non a caso diversi intellettuali (come Tommaso Nannicini e altri) stanno risollevando la questione, se pur nella cornice del più ambizioso disegno degli Stati Uniti d’Europa. Per la nostra premier, visti i chiari di luna sul fronte occidentale, forse sarebbe opportuno un cambio di strategia, in modo tale da assegnare al nostro Paese, tra i fondatori dell’Europa, un ruolo proattivo in un tornante drammatico della storia. Guardando avanti e non più giocando di rimessa come in questi giorni drammatici. 

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