Politica contro magistratura, un conflitto di cui il Paese non ha bisogno
Il “nocciolo duro” del governo Meloni sotto indagine. A partire dalla stessa premier, insieme a una prima fila di esponenti del suo esecutivo: i ministri Nordio e Piantedosi, il sottosegretario Mantovano
Il “nocciolo duro” del governo Meloni sotto indagine. A partire dalla stessa premier, insieme a una prima fila di esponenti del suo esecutivo: il ministro della Giustizia Carlo Nordio, quello dell’Interno Matteo Piantedosi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio (e magistrato in aspettativa) Alfredo Mantovano.
Il procuratore di Roma Francesco Lo Voi ha inviato l’avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione al rimpatrio dell’alto ufficiale libico – accusato dalla Corte penale internazionale, che ne aveva richiesto l’arresto, di crimini di guerra e contro l’umanità – Osama Nijem Almasri.
Una vicenda delicata e complicata che si salda con la ferma decisione dell’esecutivo di destracentro di proseguire nel suo progetto di riforma – o controriforma, secondo l’Anm – della magistratura.
Agli occhi di un qualsiasi osservatore della politica italiana, quanto accade potrebbe sembrare non casuale e, al medesimo tempo, appare difficilmente contestabile il fatto che la gestione dell’affaire Almasri, con il suo pressoché istantaneo rimpatrio mediante volo di Stato (da cui, assai verosimilmente, l’imputazione aggiuntiva di peculato), sia risultata quanto meno discutibile e problematica, e all’insegna di una serie di forzature giuridiche.
Una decisione, dunque, non esattamente “in punta di diritto”, come aveva sostenuto il Guardasigilli, ma motivata dalla “ragion di Stato” e dagli accordi e con una parte delle forze che comandano in una Libia anarchica e caotica, di cui Almasri è una figura chiave. Specialmente su un terreno molto sensibile per il governo quale quello della riduzione dei migranti che approdano in Italia; e lo testimonia il recentissimo invio – sempre sub iudice, seppure in questo caso della Corte d’appello di Roma – di una nave che ne ha trasportati 49 in Albania.
Proprio nelle scorse giornate le partenze dalle coste nordafricane erano risultate numerosissime (più 135% rispetto allo stesso periodo del 2024), a conferma di come il nostro Paese, da questo punto di vista, si trovi sotto il ricatto delle milizie che dovrebbero garantire il cosiddetto ordine pubblico in Libia, e usano i migranti come ostaggi e merce di scambio con i nostri governi.
Ed è precisamente questo concetto, trasferito invece sul piano delle relazioni con i giudici, che ha invocato Meloni nel video di ieri, 28 gennaio, in cui ha annunciato di essere indagata, quando ha dichiarato «non sono ricattabile e non mi faccio intimidire», e ha evocato di nuovo qualcosa di molto simile a una saldatura fra giudici e sinistra per colpire il governo e bloccare il progetto di revisione del sistema giudiziario.
Affermazioni con le quali, rivolgendosi direttamente all’opinione pubblica, e puntando a galvanizzare i propri elettori, ha operato uno spostamento della questione su uno dei terreni che le risultano più congeniali: quello comunicativo e della campagna elettorale permanente.
Ecco allora che questo impasto complessivo di elementi e questa matassa intricata si presentano come un “pasticciaccio brutto” che va a turbare ulteriormente il contesto, non consentendo di affrontare con la dovuta lucidità il merito dell’indagine intorno all’immediato rilascio di Almasri. E segnando l’ennesima tappa della guerra dei (più di) Trent’anni fra politica e magistratura, con la sensazione dell’avvicinamento a una sorta di redde rationem. Proprio ciò di cui, specie ora, il nostro sistema-Paese non avrebbe il benché minimo bisogno.
Riproduzione riservata © il Nord Est