Meloni negli Usa: l’Italia insegue un ruolo di peso
Il nostro Paese di nuovo protagonista delle relazioni internazionali grazie alle sue capacità di mediazione tra i diversi interessi in campo: questo il significato profondo del viaggio della premier da Trump

Viviamo in un mondo di crescenti minacce, e questo refrain è nelle orecchie di tutti da parecchi mesi. La vera questione è capire come vogliamo reagire a esse. Il governo italiano, sul punto specifico di quanto l'Italia voglia investire nel sostenere l'alleanza militare che ci tutela, la Nato, è diviso.
Da un lato, il ministro dell'Economia Giorgetti temporeggia dinnanzi al possibile aumento del contributo al 2% di spesa in favore del Patto atlantico, rimandando la decisione al vertice di giugno in cui verranno ridefiniti gli impegni dei singoli Stati. Dall'altro, il ministro degli Esteri Tajani, che annuncia esattamente il contrario. L'Italia – dice Tajani - è pronta a impegnarsi per arrivare al 2% del Pil anche ora.
La questione ripropone, insomma, la crepa emersa nel governo tra Lega, da un lato, e Fratelli d'Italia e Forza Italia, dall'altro, sin dai primi mesi dell'alleanza governativa.
Storicamente, l'Italia è uno dei Paesi europei che meno ha contribuito al budget Nato. Secondo le stime per il 2024, la Polonia è stata la nazione che più ha speso in questo ambito con il 4,1%, seguita da Estonia, Lettonia e Lituania. Se una spesa così importante è caratteristica di quegli Stati più esposti a una eventuale minaccia proveniente dalla Russia, va rilevato che gli altri Paesi europei, con poche eccezioni, hanno comunque fornito un sostegno maggiore del 2%.
Il burden sharing, preventivato intorno al 2005, richiedeva già lo sforzo di ciascuna nazione di raggiungere il 2% delle spese per la difesa entro il 2024. Non è quindi una novità quella delle richieste Nato. Temporeggiare serve a poco.
È evidente che le componenti governative di Fratelli d'Italia e di Forza Italia hanno un'immagine ben precisa di come l'Italia deve muoversi nel contesto globale. Il contegno assunto dai vertici del governo in politica estera rievoca un antico desiderio dell'Italia degli anni Ottanta: l'attitudine italiana alla mediazione e alle intese personali.
Un'Italia di nuovo protagonista delle relazioni internazionali grazie alle sue capacità di mediazione tra i diversi interessi in campo. Questo è anche il significato profondo del viaggio di Giorgia Meloni a Washington, in un momento così teso delle relazioni transatlantiche.
Se l'Italia vuole assumere un ruolo di rilievo nello scenario internazionale, date le ambizioni di protagonismo geopolitico dell'attuale governo (o di un'anima di esso), deve innanzitutto ritrovare una coesione interna e, non da meno, ritrovarsi a gestire realmente la mediazione tra gli alleati europei e l'amministrazione Trump, risultando credibile agli uni e all'altra.
Giocare un ruolo di rilievo nel «rafforzare il pilastro europeo» della Nato, come ha sostenuto Tajani, è una strategia indirizzata proprio a questo rinnovato protagonismo. Può effettivamente accendere una luce sull'azione italiana? Potrebbe, ma a fatica. E, comunque, soltanto alla condizione che Roma riesca a compensare il gap tra le ambizioni di protagonismo delle relazioni globali e le reali possibilità di un Paese come l'Italia in un contesto in cui anche le antiche "grandi potenze" europee sembrano boccheggiare.
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