Caso migranti in Albania, a chi conviene la sindrome del complotto
La paranoia serve alla politica; può essere uno strumento prezioso, perché permette di vivere in uno stato di vigilanza utile. Entro certi limiti, va da sé, superati i quali diventa sindrome e retorica del complotto
I sette migranti di origine bengalese ed egiziana, che da venerdì scorso si trovavano nel centro di Gjdaer, in Albania, sono rientrati in Italia a bordo di nave Visalli. Il loro ritorno - che segue la decisione del Tribunale di Roma, che ha sospeso il provvedimento di convalida del trattenimento dei migranti e lo ha rinviato alla Corte di giustizia europea - è stato accompagnato dalle intemerate del governo italiano, pronto ad approfittarne per rinverdire il duello con i magistrati.
Giusto per non farci mancare nulla, stavolta è intervenuto pure Elon Musk, gasatissimo dopo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Il padrone di Tesla, Starlink e X, che ha fortemente contribuito alla campagna elettorale del presidente (ri)eletto, ha sentenziato sui social che quei giudici «se ne devono andare». Alla destra italiana, decisamente aperta ai suggerimenti dei colleghi nazionalisti e sovranisti in giro per il mondo, non è parso il vero. Il primo a dare ragione a Musk, va da sé, è stato Matteo Salvini, tra i più vivaci esponenti del centrodestra nel contestare la magistratura.
Non è naturalmente la prima volta nella storia che il centrodestra italiano discute, finanche ferocemente, con i giudici. Ma forse sarebbe un errore presentare la questione ai lettori in termini di scontro fra le parti, come se il punto riguardasse una legittima diversità di opinioni politiche. Questo, d’altronde, è quello che sostiene il governo: i magistrati stanno facendo opposizione.
Eppure, ci fa notare Emilio Santoro, filosofo del diritto e professore ordinario all’Università di Firenze, «bisognerebbe che i giudici smettessero di accettare questo piano di discorso. Il governo sta attaccando l’essenza del costituzionalismo: l’idea che i diritti delle persone sono un limite al potere legislativo, non i giudici».
Detto in altri termini: «Quello che è messo oggi in discussione è che il potere legislativo non è libero, ma ha limite nei diritti costituzionali che sono costituzionali proprio per essere protetti dalla volontà della maggioranza».
Accanto al piano giuridico ce n’è un altro, altrettanto importante e utile a capire quale sia la strategia dell’esecutivo, e riguarda la comunicazione. Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia fin dal primo giorno hanno descritto l’Italia come un Paese in ostaggio dei poteri forti. Ora, ai leader politici capita di sentirsi accerchiati. E più si ricopre una posizione istituzionalmente rilevante e più l’accerchiamento, o quantomeno la sensazione dell’accerchiamento (se non dell’auto-accerchiamento), aumenta.
Meloni vede ormai avversari e congiure dappertutto. La presidente del Consiglio e i suoi Fratelli d’Italia indulgono con facilità nella sindrome del “personaggio scomodo”. Non di rado, tuttavia, l’accerchiamento diventa appunto auto-accerchiamento. «Ce l’hanno con noi» è la frase-manifesto della paranoia del potere.
La paranoia serve alla politica; può essere uno strumento prezioso, perché permette di vivere in uno stato di vigilanza utile. Entro certi limiti, va da sé, superati i quali diventa sindrome e retorica del complotto. Anche in questo caso, il complotto dei giudici non c’è; c’è un limite costituzionale allo strapotere del potere esecutivo. Lo diceva già Montesquieu, non l’ultimo degli eversori. —
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