I nazionalismi e la profezia di Mitterrand
Il messaggio dell’allora presidente della Francia davanti al Parlamento Europeo nel 1995 non è mai stato attuale come lo è ora che le destre radicali vogliono alzare muri e smantellare l'Europa
Quel giorno, martedì 17 gennaio 1995, François Mitterrand decise di chiudere il discorso davanti al Parlamento europeo, uno degli ultimi della lunga carriera politica, con «qualche parola più personale». Appariva affaticato, nessuno poteva sapere che gli restasse meno di un anno di vita, ma certo lui sentiva di essere arrivato alla fine della corsa, oltre che della presidenza della Repubblica francese, che avrebbe salutato in maggio. Era il tempo di lasciare un testamento politico.
Appoggiato con entrambi i gomiti sul leggio di legno massiccio, espresse l'esigenza di «trasmettere assolutamente non l'odio per i nemici del passato, ma il senso di opportunità legato alla riconciliazione». Il monito fu diretto, pronunciato senza esitazioni da una voce afona e sfiancata. «Il nazionalismo è guerra, e la guerra potrebbe ancora venire – assicurò il Vecchio Socialista -. Così siete ormai voi, signore e signori deputati, i guardiani della nostra pace, della nostra sicurezza, del nostro avvenire».
Lì per lì, l'applauso appassionato di tutto l'emiciclo di Strasburgo accolse l'anziano leader reagendo all'emozione del momento e alla storia che c'era dietro. Nessuno pensò davvero che quella del 79enne Mitterrand fosse una profezia.
Nessuno avrebbe creduto che nella giungla dei social e del mondo 5.0, si sarebbero dimenticate le ferite, i massacri e gli odi, con tutto quello di doloroso che avevano portato. Nessun riteneva possibile un'altra guerra in Europa, persino la carneficina jugoslava pareva solo un tragico incidente di percorso. Il presidente francese, invece, ne era persuaso. «La regola si imporrà», avvertì. Il nazionalismo, come antitesi al patto fra pari nel sodalizio europeo, genererà conflitto dopo conflitto.
Mitterrand ricordò di essere nato durante la prima guerra mondiale e di aver combattuto nella seconda, e lì trasse le premesse per glorificare il sacramento laico della riconciliazione. «Non l'ho imparato mentre ero nei campi di prigionia nazisti, né mentre abitavo una terra occupata – argomentò –; è successo quando ho incontrato dei tedeschi che amavano la Francia più di quanto noi amassimo la Germania. Non voglio criticare il mio Paese, ma far capire che tutti guardano al mondo dal posto in cui sono e i punti di vista possono essere alterati». Per questo, «bisogna vincere i pregiudizi».
Oggi i rivali del presidente avrebbero fischiato il suo addio, ridicolizzandolo sui social per la fede europeista e, anche, per una vita privata segnata da scelte discutibili. Allora, i deputati lo applaudirono perché intesero un avvertimento che ancora oggi scuote le coscienze. Mentre cannoni e droni sparano alle porte dell'Unione, il ritorno di nazionalismi concepiti come se un Paese, da solo, potesse difendersi dai pericoli con cui gli uomini e la natura minacciano le nostre società, apre scenari allarmanti in cui il vantaggio particolare tende a imporsi sulle esigenze collettive.
Il messaggio di Mitterrand non è mai stato attuale come lo è ora che le destre radicali vogliono alzare muri e smantellare l'Europa. Il nazionalismo che strappa le democrazie solidali e divide gli uomini, riporta a drammi dimenticati; si pensava superato e invece sta tornando. Per minare la Pace e, come disse il Vecchio Socialista giusto trent'anni fa, spalancare le porte alle guerre.
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