L’inquietudine dei nuovi nazionalismi
L’Occidente è oggi una somma di nazioni incerte, sorprese e divise: cos’è andato sorto nel sogno europeo

Se guardo all’esistenza dell’Europa attraverso la quotidianità scolastica, quando si facevano scambi con altre scuole all’estero, quando gli studenti aderivano ai progetti di Intercultura o quando si sentiva, nei licei linguistici, l’eco del francese, dello spagnolo, dell’inglese e del tedesco, ventate di russo e cinese, lingue che trascinavano lembi di culture, immagini di luoghi e quei suoni a raccontare il mondo, la diversità e la geografia con le sue morfologie e con le diverse inclinazioni della luce solare, ebbene tutto questo faceva dell’Europa, se non del mondo, un organismo vivo. Anzi, un oceano in cui i giovani nuotavano piuttosto soddisfatti.
Ma era, lo si capisce oramai da mesi, solo l’increspatura della superficie. Nelle profondità, le trame della storia preparavano il maremoto.
L’impalcatura dell’Europa sorta su progetto americano, dopo il suicidio in due guerre mondiali nell’arco di un ventennio (dura di più un disco di De Andrè), aveva come baricentro il mantenere la Germania sotto controllo, concedendo all’Urss il cuscinetto del patto di Varsavia. La civiltà europea battuta dai cannoni: non è stata una bella figura.
Ce l’eravamo meritato, del resto: in qualche secolo le potenze europee conquistano l’84% delle terre emerse e poi collassano in un batter d’occhi per l’acuta patologia dei nazionalismi, di cui quelli indossanti scure divise i più mortiferi.
Si presentava però l’opportunità storica di mostrare che avevamo compreso: che le diversità di storie, territori, economie, culture, chi con San Remo chi senza, non avrebbero impedito, anzi, nella costruzione di autentici Stati Uniti d’Europa. Sarebbe stato il declino, almeno nei nostri territori, del nazionalismo.
Se fosse esistito un simile progetto politico-istituzionale, forse avremmo colto l’occasione, quando nel ’91 si sfaldò l’Urss, di avanzare un’idea di una connessione continentale, una bomba geostrategica. Invece il collasso del sistema sovietico, di un capitalismo di Stato poco efficiente e logorato dalla sanguinosa guerra decennale in Afghanistan, aprì solo alla ripresa di un capitalismo oligarchico, più efficiente ma anche più vorace. Di sicuro l’allargamento degli Stati Uniti d’Europa a Est non sarebbe piaciuto agli Usa e nemmeno al regime russo. Ma ci avrebbe fatto avere un ruolo nella struttura del mondo.
Invece siamo qui a guardare il riarmo tedesco, la cui entità e dinamica si tratterà di capire. Effetto collaterale, ma di peso, dell’esaurimento dell’Europa ideata nel dopoguerra; connesso anch’esso alla vicenda russo-ucraina, che si alimenta di questa fase mondiale: chi comanderà nei prossimi decenni?
Perché, mentre mandavamo i nostri figli una settimana nelle scuole d’Europa, persino a San Pietroburgo, il mondo è cambiato: la Cina aspira a essere sul podio più alto, l’America declina, la Russia vive di soldi cinesi e di esportazioni energetiche e alimentari. Ma il più grande Paese del mondo è soltanto all’undicesimo posto del Pil: è un gigante, ma la Cina molto di più e lo sforzo americano di tenerli separati implica che l’Europa passi, per il momento, in seconda fila.
Certo non ci sarebbero problemi troppo gravi se fossimo gli Stati Uniti d’Europa e se solide democrazie sapessero di avere al loro interno maggioranze ampie di cittadini che per la democrazia sarebbero disposti, nel caso di conflitto o invasione, a fare di ogni città una “Stalingrado”. Invece siamo nazioni, incerte, sorprese, divise.
Non è forse questa la forza di che vuole inghiottirsi il mercato europeo e le sue ricchezze? Infatti, e sembrerebbe incredibile per un alieno che visitasse la Terra dopo aver visto nel ’45 la fine del conflitto, riprendono i nazionalismi: nei Paesi europei, la Russia lo è da decenni, negli stessi Usa, per non parlare dell’Iran, della Turchia, di Israele stesso. Cioè, negli snodi del mondo. Nazionalismi sorretti da regimi o aspiranti tali. Se non si evolve si regredisce.
Va da sé che non ci aspettano giorni semplici, ma interessanti. Sin troppo interessanti, direbbe il filosofo Slavoj Zizek, parafrasando un detto cinese che attribuiva alla parola “interessanti” il significato di “inquietanti”.
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