Niqab e burca, quei limiti da rispettare
Nella logica dell'integrazione ci deve essere un limite dove finisce il rispetto delle tradizioni "altre" e dove comincia un'altra forma di rispetto, quello della cultura all'interno della quale cittadini vivono per scelta

Sia nel Consiglio regionale del Veneto, sia in quelli del Friuli Venezia Giulia e della Lombardia la Lega si è attivata per arrivare a una legge che stabilisca «misure legislative che vietino l'utilizzo del burqa e del niqab nei luoghi pubblici e nelle scuole».
In Italia, in realtà, esiste già dal 1975 una legge che vieta, «a tutela dell'ordine pubblico, l'uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona» in luoghi pubblici o aperti al pubblico, «senza giustificato motivo». Allora era una norma che riguardava l'uso del casco integrale, cinquant'anni dopo le cose si fanno più complesse per l'elevato numero di fedeli musulmani.
Anche se c'è chi, all'estrema destra, si inserisce in questo contesto fattosi più complesso sfruttando il problema solo per scopi di bassa bottega elettoralistica, il problema, però, c'è. Diciamo subito che in gioco c'è innanzitutto il tema dell'integrazione di giovani immigrati (o immigrate) da Paesi di tradizioni culturali e religiose profondamente diverse dalle nostre.
Il niqab, e così anche il burqa (già vietato dalla legge del 1975), è caratteristico solo di un certo Islam, conservatore e minoritario nell'universo musulmano, tipico di un'interpretazione di quella religione diffusa soprattutto in alcune realtà come il Bangladesh, appunto, ma non ovunque. Al di là di questo, il problema dell'integrazione anche dei fedeli di questa osservanza islamica si pone realmente in una società che non voglia, programmaticamente, escluderli.
Nella nostra cultura non è più accettabile la mortificazione del corpo femminile che rivela una - più o meno consapevolmente - accettata sottomissione all'uomo, considerato in gran parte del mondo musulmano superiore alla donna. E il volto è fonte di una comunicazione non verbale che noi tutti sappiamo interpretare, parla una sua lingua talora assai più espressiva di tante parole. Non è quindi solo una questione di sicurezza, di per sé pure assai importante. L'occultamento dei tratti del viso, delle sue espressioni, pone problemi da affrontare con una norma che dia indicazioni precise anche e soprattutto a scuola, dove la relazione educativa tra insegnante a alunno/a passa anche attraverso quella comunicazione non verbale, fonte quasi sempre di una corrente di empatia che motiva l'alunno/a spesso assai più di ogni altra forma di trasmissione di contenuti da parte dell'insegnante.
Nella logica dell'integrazione ci deve essere un limite dove finisce il rispetto delle tradizioni culturali e di fedi religiose "altre" e dove comincia un'altra forma di rispetto, quello della cultura all'interno della quale cittadini (o aspiranti tali) vivono per scelta, anche se ben sappiamo che spesso è scelta di sopravvivenza.
Bisogna tracciare quel limite tenendo conto dei valori espressi dalla cultura che li accoglie, e delle regole che su quei valori si fondano. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che non tutti i valori espressi dalle culture "altre" (come vorrebbe un malinteso "multiculturalismo") che contrastano con questi sono meritevoli di essere rispettati nell'interesse dei/delle giovani nati e cresciuti all'interno di quelle culture: dovere delle politiche di integrazione è aiutarli a riconoscerlo.
Sbagliano di grosso i partiti della sinistra a sottolineare solo la strumentalizzazione per scopi elettoralistici di questi temi da parte dell'estrema destra, liquidando sbrigativamente i problemi causati da immigrati di fede islamica e affrontandoli con slogan ormai logori. È il modo migliore per far crescere il consenso tra gli elettori di quell'estrema destra che intende (giustamente) contrastare. —
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