Un nuovo modello per riportare l’industria al vertice
Da Bologna a Trieste ci sono importanti strutture di ricerca, dalle quali partire per porsi nuovamente alla testa dell’Europa

Le continue picconate di Donald Trump alla stabilità economica mondiale hanno generato un’incertezza che, favorendo la speculazione a breve termine, fa sicuramente male all’industria ed alla ricerca, quindi all’innovazione, che richiedono tempi lunghi di programmazione e di ritorno degli investimenti.
A questo cruciale incrocio l’Europa tutta arriva dopo una lunga fase di bassa e faticosa crescita, iniziata con la crisi del 2008. Negli anni precedenti, dalla metà degli anni Novanta, l’Unione Europea, accelerando il processo di integrazione con la moneta unica e l’ampliamento ad Est, aveva guidato la crescita mondiale, con tassi di crescita annui superiori perfino a Stati Uniti e Cina.
Con la crisi del 2008 i Paesi europei si sono però disuniti, ed anziché rilanciare insieme su nuovi settori e tecnologie, come appunto Usa e Cina, hanno cercato ognuno di difendere i propri comparti tradizionali. Ne è scaturita una lunga fase, ancora non conclusa, di crescite asfittiche, a cui non corrisponde un disegno chiaro di politica industriale europea, su cui poter basare un’esplicita volontà di giocare come Unione un chiaro ruolo di leadership a livello internazionale.
In questo difficile contesto, appare particolarmente delicata la situazione italiana. I dati ci presentano indici di produzione industriale che da due anni, mese dopo mese, sono in calo ed anche gli indici di questi primi mesi del 2025, sia pure in rimbalzo rispetto alla disastrosa fine dell’anno scorso, rimangono tendenzialmente in diminuzione.
Questo progressivo infragilimento dell’industria europea ed italiana si contrappone alle scelte compiute da Stati Uniti e Cina come risposta alla crisi del 2008 ed alla ulteriore crisi industriale accompagnatasi al blocco internazionale generato dal Covid.
La Cina era entrata sul mercato globale attraendo investimenti e tecnologie, giovandosi di bassi salari. Dopo il 2008 ed ancor più dopo il Covid, ha investito in ricerca e tecnologia ed oggi su circa 3,5 milioni di brevetti registrati nel mondo il 46% sono cinesi, mentre gli Stati Uniti sono fermi al 14%, la Germania al 3,75% e noi allo 0,7%.
D’altra parte gli Stati Uniti hanno spinto al massimo il monopolio sulle nuove tecnologie digitali legate alla comunicazione, al punto che Google detiene oltre il 90 per cento del mercato mondiale dei motori di ricerca.
Queste due strategie hanno rilanciato il tema delle economie di scala, ritenendo che i volumi di produzione siano sempre più rilevanti anche nelle industrie legate alle nuove tecnologie.
Ed è proprio su questo nodo che oggi l’Europa e noi stessi siamo chiamati a fare i conti. Negli anni Ottanta si era consolidata la visione che la grande fabbrica fordista era superata, proponendo invece lo sviluppo di aree composte da molte piccole imprese specializzate, che trovavano in un distretto quelle complementarità che venivano assicurate in precedenza da un solo comando aziendale.
Questa strategia ha portato a grandi successi, sia per le singole imprese leader dei distretti, divenute leader mondiali in comparti ad alto valore aggiunto, sia per territori, che da luoghi di emigrazione erano divenuti centri della nuova industria. Fra questi troviamo l’Emilia Romagna sull’asse della Via Emilia, il Veneto sulla Serenissima, il Friuli Venezia Giulia ed il Trentino sulle vie per il Nord Europa.
Con la Lombardia, le Regioni del Nord Est sono tuttora ai primi posti della crescita del Pil reale nel 2024, con tassi superiori allo 0,7 per cento della media nazionale, ma comunque sotto a quell’1 per cento annuo che non riusciamo a lasciarci alle spalle e che comunque verrà messo in difficoltà proprio dalle politiche trumpiane, volte a bloccare i nostri prodotti di alta qualità.
È tempo di domandarci se e come quest’area che rappresenta tuttora la parte più dinamica del Paese possa vincere la sfida della crescita.
In questa area sono presenti, oltre a numerose imprese leader mondiali dei loro comparti, le più antiche e prestigiose università del Paese, grandi centri di ricerca di livello europeo e mondiale, a partire dal Tecnopolo di Bologna, il più grande centro di supercalcolo d’Europa, e l’Area Science Park di Trieste con le sue infrastrutture di ricerca fondamentale. È tempo di lavorare insieme per rigenerare un nucleo industriale fortemente integrato con le strutture di ricerca e porsi alla testa di un’Europa che deve ritrovare la propria vocazione produttiva, intrecciando nuova e vecchia industria, legandola strettamente a questa solida capacità di ricerca scientifica e quindi lavorando per svilupparne le ricadute tecnologiche nei settori legati alla vita dei cittadini. L’attacco di Trump alle università americane ed ai centri di ricerca, in particolare medici, può divenire un’occasione per riportare a casa molti cervelli in fuga, ma anche per ricostruire il futuro della nostra industria europea.
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