Il pacifismo incoerente a 5 stelle

Alla vigilia del 5 aprile, il giorno della piazza pentastellata contro il riarmo e «per la pace». Il M5s non si è fatto sfuggire l’opportunità di riprendere il “cannoneggiamento” nei confronti di quello che dovrebbe rappresentare il suo principale partner di coalizione

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Il leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte
Il leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte

Siamo alla vigilia del 5 aprile, il giorno della piazza pentastellata contro il riarmo e «per la pace».

Dopo l’approvazione da parte del Pd della Relazione annuale sulla politica di sicurezza e difesa nella plenaria dell’Europarlamento – e, al contempo, la linea contraria sull’emendamento Welcome ReArm Europe –, il M5s non si è fatto sfuggire l’opportunità di riprendere il “cannoneggiamento” (metaforico e simbolico, beninteso) nei confronti di quello che dovrebbe rappresentare il suo principale partner di coalizione.

Una strategia non nuova, che si affianca a quella delle “mani libere” di un populismo che, di tanto in tanto – quando se ne presenta l’opportunità – torna a essere postideologico, e cerca di pescare a destra oltre che a sinistra.

La competizione con il Pd – anche se sono esclusivamente alcuni settori e bacini elettorali a sovrapporsi – resta dunque strutturale nella visione del gruppo dirigente contiano, a dispetto della «volontà testardamente unitaria» dichiarata da Elly Schlein, presa in considerazione dall’ex premier solo nella misura in cui lui e il Movimento divenuto suo partito personale ne possono trarre un profitto.

«La nostra piazza è aperta a tutti», ha indicato il presidente 5 Stelle, evidenziando di nuovo la propensione a dettare l’agenda del campo delle opposizioni che, assai diviso e litigioso, non riesce a farsi “largo” come da famosa-famigerata etichetta del passato.

Così, accanto a vari testimonial – dall’«ideologo» Marco Travaglio allo storico-star Alessandro Barbero – si aggiungeranno i capi di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, ma non Maurizio Landini, che (come noto e palese) sta partecipando anche lui alla gara per la leadership della sinistra-sinistra.

E, mentre serpeggia il timore che – reduce dalle mancate nevi di Roccaraso... – si presenti pure la discussa tiktoker Rita De Crescenzo, in piazza ci sarà una delegazione del Pd, che subisce ancora una volta l’iniziativa egemonica di Conte, intenzionato a rivolgersi innanzitutto all’elettorato dem e all’opinione pubblica di sinistra più larga, nella quale lo “spirito pacifista” appare prevalente, anche al prezzo di varie contraddizioni (e pur nella buona fede di tanti).

Del resto, a ben guardare, la prima contraddizione è quella che riguarda proprio l’ex presidente del Consiglio, al cui proposito qualcuno parla di «pacifintismo». Perché l’attacco propagandistico ad alzo zero contiano contro la Commissione europea è stato imperniato su due punti fondamentali: da un lato, l’accusa di bellicismo indirizzata a Ursula von der Leyen e, dall’altro, quella di uno spreco di denaro pubblico per gli armamenti, sottratto ai programmi educativi e di protezione sociale.

E, tuttavia, oltre al dato di fatto per cui non è contemplato da nessuna parte che i finanziamenti di ReArm vengano sottratte a quelli – sacrosanti, ed essenziali per il modello sociale europeo – dei sistemi di welfare, ambedue i capi di accusa possono venire agevolmente rovesciati sullo stesso ex premier che, in quanto a sperpero di risorse pubbliche, non è stato (purtroppo) secondo a nessuno con il superbonus 110%. Ed è stato durante i suoi due governi che si è registrato un incremento del 17% delle spese militari.

Insomma, l’ennesimo episodio di camalecontismo, che vede l’incoerenza permanente quale «unica coerenza» della sua carriera politica.

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