Un patto tra governi e imprese, così si può ricaricare il sistema

Coraggio e talento possono ribaltare la congiuntura economica. La risposta dev’essere europea, occorre sostenere gli investimenti nei settori strategici

Marco Zatterin
Un patto tra governo è imprese, così si può ricaricare il sistema
Un patto tra governo è imprese, così si può ricaricare il sistema

Oggi è il giorno numero 703 da che la produzione industriale italiana ha cominciato a cadere e non si è più ripresa. L’Istat lo celebra annunciando che le società non finanziarie fanno meno utili e riducono gli investimenti, mentre la pressione fiscale è aumentata di quasi un punto in un anno. Difficile, in queste condizioni, scommettere su un rapido colpo di reni congiunturale, anche perché la malaise manifatturiera non è un problema solo italiano.

L’innovazione essenziale per non affondare nel mare globale è inferiore alle necessità. Succede per motivi politici, ma anche per mancanza d’una strategia industriale che deve essere immediata ed europea. La via di uscita è un patto fra governi e imprese, un disegno che guardi lontano e ridia la carica ad un sistema in cui – siamo onesti! – coraggio e talento non mancano. Stare fermi ad aspettare che sul fiume passi il cadavere del nemico (la recessione) avrà l’effetto di far sì che il cadavere sia il nostro.

Se accettiamo che il malanno è europeo, così deve essere la soluzione. Negli ultimi dieci anni, gli investimenti produttivi nell’Ue sono risultati sistematicamente inferiori a quelli americani; negli ultimi mesi, il divario è andato allargandosi. C’è una manutenzione ordinaria da compiere in termini di equilibri fra lavoro, salari, attività d’impresa, fisco e ambiente regolamentare, un intervento indilazionabile perché gli squilibri sociali si stanno ampliando. E c’è da affrontare, collegialmente, una serie di cambiamenti epocali, fra cui la transizione digitale e climatica, il deterioramento geopolitico, le pressioni demografiche e migratorie, la frammentazione del commercio globale. Nessuna di queste crisi passerà in un batter d’ali.

La soluzione l’ha suggerita prima di Natale il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Messi in fila i fattori di crisi, ha affermato che «è essenziale un’azione coordinata a livello europeo: un Productivity compact che mobiliti investimenti pubblici e privati in beni comuni strategici». Si tratta di introdurre un titolo europeo sicuro, completare l’Unione bancaria per garantire la circolazione della liquidità, sviluppare sino in fondo un mercato europeo dei capitali in grado di finanziare progetti innovativi ad alta criticità. L’obiettivo, suggerisce parafrasando Keynes, «non è fare meglio ciò su cui gli Stati membri sono già impegnati, ma fare ciò che essi non fanno».

Questo è il punto. Sostenere gli investimenti nei settori strategici. Attivare la cassa comune per spingere sull’innovazione che non c’è abbastanza, rinforzando un ambiente che aiuti le imprese, e superando le rigidità normative che frenano lo sviluppo potenziale. Panetta lo vede come «un programma di spesa comune per finanziare investimenti indispensabili per i cittadini europei». Questo non vuol dire che i governi nazionali - a partire da quello della lentissima amministrazione italiana – non si debbano dare una mossa. È un passo doppio: riordinare la casa e caricare sulle spalle europee la ripresa a colpi di innovazione. Oppure un’unica volata che ci trasformerà nel vaso di coccio fra Usa e Asia, disarmati di fronte all’evidente rischio di un declino a cui nessuno Stato potrà opporsi da solo. —

 

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