L’illusione della spallata giudiziaria
Cade, pezzo dopo pezzo, il castello delle riforme del governo Meloni ma la sinistra stia alla larga dall’illusione: i risultati delle presidenziali americane e tanti anni di berlusconismo dovrebbero aver insegnato qualcosa
Cade, pezzo dopo pezzo, il castello delle riforme del governo Meloni. Dopo il progetto-Albania, anche l’Autonomia differenziata subisce un netto stop da parte dei giudici. Nel frattempo, in un enorme cortocircuito politico-giudiziario che unisce Italia e Stati Uniti, i fan della destra s’indignano e gridano al complotto delle toghe. Gongolano le opposizioni, che vedono indebolirsi l’esecutivo e profilarsi tensioni dentro la maggioranza. Tuttavia, proprio i risultati delle presidenziali americane e tanti anni di berlusconismo ci dicono che la spallata per via giudiziaria rimane una pericolosa illusione, per la sinistra.
Lo schema di gioco sembra essere tornato quello degli anni d’oro del Cavaliere. Solo che il protagonista, questa volta, è il “Berlusconi d’America”. Al muro di Arcore (copyright: Ilvo Diamanti) si sostituisce il muro di Mar-a-Lago. In senso più generale, si tratta di un repertorio classico: da una parte, i capi-popolo e la loro sintonia immediata con l’elettorato, dall’altra i giudici-non-eletti “che fanno politica”.
Ma il discorso si potrebbe allargare ad altri contro-poteri: d’altronde, nel caso di Trump come in quello di Berlusconi (e Meloni), si tratta anche della guerra dichiarata agli organi di informazione. Più precisamente, dello scontro tra editori, network e testate mainstream e canali alternativi: la tv commerciale (di Berlusconi) ieri, i social (di Musk) oggi. Sorprende fino ad un certo punto, allora, che in Florida siano così interessati a quel che succede in casa nostra.
Oltre alle amicizie personali, gli interessi economici e i tentativi di costruzione di un fronte politico globale, l’attenzione per l’Italia riflette il riconoscimento dello status di caso di scuola, nel conflitto politica vs giustizia. Come ai tempi della prima Repubblica, l’Italia, vista dall’America, torna così ad essere una terra di frontiera, in relazione a una dinamica polarizzante su scala globale.
Ad essere in gioco, naturalmente, non sono (solo) le sorti di singoli leader. Tantomeno di singoli progetti politici, per quanto caratterizzanti la vita del governo. Quando viene contestata la separazione tra poteri, o il ruolo degli attori dell’informazione, vengono messi in discussione gli stessi principi fondativi della democrazia liberale.
I flop del centro-destra svelano la fretta, l’approssimazione e l’approccio ideologico con i quali gli autori delle riforme si sono mossi su temi di estrema delicatezza, come i flussi migratori e l’autonomia. Ma gli attacchi alle istituzioni, da qualunque parte (dell’oceano) provengano, tradiscono scarso senso delle istituzioni e debole cultura democratica.
Valutazioni speculari, tuttavia, vanno fatte per quei partiti e leader che denunciano queste derive, e si augurano di vedere sconfitti i loro interpreti. Tale risultato passa, necessariamente, attraverso l’individuazione di idee, progetti, donne/uomini. Non esistono scorciatoie: la battaglia non può essere affidata né ai magistrati né ai media. Le presidenziali americane lo hanno mostrato chiaramente. Inchieste e museruole mediatiche non bastano a vincere le elezioni. Spesso sortiscono l’effetto opposto. La sinistra italiana dovrebbe saperlo bene e da prima.
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