Gli italiani sono a rischio estinzione

La curva demografica sembra segnata: subito politiche a sostegno delle famiglie perché con i bonus non si può comprare il futuro

Francesco JoriFrancesco Jori

In via di estinzione. Gli italiani si avviano a diventare specie protetta, arrivando a fine secolo con una popolazione pressoché dimezzata. Lo segnalano le implacabili cifre del rapporto Onu 2024 sull’andamento demografico: se continuerà il trend attuale, nel 2100 i 59 milioni di abitanti di oggi scenderanno a 35, per poi proseguire con un inesorabile declino.

Che non sia il classico allarme a tavolino, lo spiegano in maniera forte e chiara i numeri attuali: lo scorso anno, per la prima volta dall’Unità a oggi, le morti hanno superato le nascite; i nuovi arrivati sono scesi sotto i 400 mila; neppure il contributo degli immigrati basta più a compensare il rosso di bilancio demografico.

In un’Europa dove pure la natalità è in calo generalizzato, siamo all’ultimo posto, con appena sei bambini ogni mille abitanti, due punti sotto la media della Ue.

Il tasso di fertilità è di 1,20 figli per donna, oltretutto con un quarto delle nuove madri che arrivano da altri Paesi. Ha figli appena una famiglia su quattro; e in metà dei casi c’è un solo figlio.

Sommato alla crescita dell’età media, ne consegue un invecchiamento della popolazione allarmante: già oggi le persone con più di 65 anni sono quasi il doppio rispetto a quelle con meno di 15, e nel 2050 il rapporto sarà di tre a uno. La crisi demografica fa sì che restino scoperti ogni anno 150 mila posti di lavoro: una diretta ripercussione di stampo economico.

È un’autentica emorragia della quale siamo perfettamente consapevoli, senza peraltro affrontarla davvero. Il calo è in atto ormai dal 2015: da allora abbiamo perso poco meno di due milioni di abitanti.

Il Nord Est concorre in piena quota parte: meno 80 mila in Veneto, meno 35 mila in Friuli Venezia Giulia; da qui a una ventina d’anni la diminuzione prevista è rispettivamente di altri 70 mila e 20 mila italiani residenti. Già oggi, in tutti i Comuni veneti - tranne due - ci sono più over 65 che under 15.

Sono tutte cifre note e stranote, alle quali peraltro si contrappongono poco più che chiacchiere. C’è da sperare che così non accada per la commissione parlamentare sulla transizione demografica da poco istituita; la quale, peraltro, avrà come focus soprattutto le ricadute del fenomeno sulla sostenibilità dei conti pubblici, mentre il problema in realtà è molto più ampio.

Sulle cause dell’inverno delle nascite, c’è poco da aggiungere: in esso confluiscono gli scarsi servizi per l’infanzia, uno welfare carente, il basso livello degli stipendi.

L’Italia è l’unico Paese dell’intera area Ocse in cui i salari sono fermi al secolo scorso; siamo all’ultimo posto in Europa per assegni familiari; gli asili nido hanno spazio soltanto per il 28 per cento dei bambini contro una media nella Ue del 33 e un obiettivo fissato per il 45.

Sulle risposte necessarie c’è poco da inventare: senza andare a scomodare realtà come quelle dei Paesi scandinavi e della Francia, proprio nel nostro Nord Est c’è un modello in controtendenza come l’Alto Adige, dove il tasso di fertilità è di 1,72 figli per donna (a fronte di una media nazionale di 1,35). E questo grazie a un sistema combinato di efficaci politiche per la famiglia, indicato a modello perfino negli Stati uniti d’America, in particolare dal New York Times.

Non è con i soldi, o quanto meno non soltanto, che si inducono le coppie a far figli: è invece con una solida rete di servizi che non faccia sentire i genitori soli di fronte allo Stato e al mercato nella vita quotidiana. Con i bonus non si può comprare il futuro.

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