Regionali, l'abisso M5s con Conte all’angolo

Quanto avvenuto in Emilia-Romagna e Umbria conferma alcune tendenze ormai consolidate

Massimiliano Panarari
Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte
Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte

I voti regionali fanno, molto spesso, storia a sé, ma quanto avvenuto in Emilia-Romagna e Umbria conferma alcune tendenze ormai consolidate. Ovvero, le convergenze parallele nella caduta di Lega e Movimento 5 stelle e il consumarsi del brand personale di Matteo Salvini e Giuseppe Conte. I cui partiti si comportano in seno ai rispettivi schieramenti in modo similare: rappresentano spine nel fianco e mine vaganti, in primis perché i loro leader nutrivano spiccate aspirazioni alla guida delle coalizioni (e per una certa fase, ora tramontata, anche delle chances) e sono populisti nel codice genetico.

Il vicepremier ha ribadito la linea conflittuale dentro l’esecutivo – in primo luogo verso Forza Italia – e il tentativo di mantenere un’agibilità politica in Veneto proprio dalle colonne dei quotidiani Nem.

 

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E oggi inizia un appuntamento vitale per l’altro “dioscuro” di quello che era stato – non per caso – il governo gialloverde del 2018-2019: l’Assemblea degli iscritti 5 stelle propedeutica a quella Costituente del 23-24 novembre. Era stata concepita quale celebrazione del PdC (il Partito di Conte) “degrillinizzato” attraverso il pronunciamento dei militanti a cui è stata sottoposta una sfilza di quesiti piuttosto orientati e “autoconfermativi” della linea politica e della leadership dell’odierno presidente.

Ma gli auspici originari sono stati stroncati, via via, dagli esiti elettorali in Liguria (terra natale di Beppe Grillo, che ha verosimilmente operato un boicottaggio), in Umbria – dove la neo-governatrice Stefania Proietti appare portatrice di vari tratti “grillini”, ma non sotto le bandiere pentastellate – e in quella Emilia-Romagna che è stata la culla della formula di movimentismo antipolitico inventata innanzitutto dallo scomparso Gianroberto Casaleggio.

Il completamento della rimozione dell’eredità dei padri fondatori, iniziata proprio con lo scioglimento del contratto con Davide Casaleggio per l’utilizzo di Rousseau – il voto sui quesiti e le proposte transitano da allora su un’altra piattaforma voluta dai contiani – costituiva il principale obiettivo da conseguire per mezzo della Costituente, ribattezzata con la denominazione di “Nova”.

Nelle scorse ore, forse anche in chiave scaramantica, Conte ha dichiarato che «se il percorso fatto fin qui verrà messo in discussione ne trarrò le conseguenze». La prospettiva di rimanere il junior partner del Pd sta seminando il panico nel sin qui granitico gruppo dei suoi fedelissimi (come Chiara Appendino) che invocano l’autonomismo, finendo per mettere in difficoltà il CamaleConte il quale, come da dna (e riflesso pavloviano), si è rituffato nel consueto funambolismo.

E si trova sottoposto al rinnovato cannoneggiamento dei grillini antemarcia – come Virginia Raggi e Danilo Toninelli – che non vogliono “morire dem”. Vale a dire la linea di Grillo – il cui atteggiamento rappresenta la grande incognita – come pure di Marco Travaglio, gran visir di quel mondo. Insomma, per Conte, deciso a imporre al Movimento una collocazione stabile nel campo largo, è l’«ora più buia» contrariamente alle previsioni. Con il rischio nient’affatto remoto che “Nova” si converta in un buco nero. —

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