Meloni e Schlein: la propaganda con le gambe corte

Mentre la premier Meloni frena in Parlamento per non scontentare gli alleati, a Bruxelles approva senza esitazioni il piano di riarmo Ue. Schlein, invece, si vanta di influenzare il Pse, ma il suo partito resta diviso

Carlo BertiniCarlo Bertini
Il segretario del PD Elly Schlein
Il segretario del PD Elly Schlein

Ma che coincidenza! Elly Schlein e Giorgia Meloni, come all’unisono, a Roma dicono una cosa e a Bruxelles ne fanno un’altra, proprio lo stesso giorno. E che sconcerto: la premier incassa a Roma lo stop della Lega, “Meloni non ha il mandato di approvare il piano di riarmo europeo”, dunque fa votare ai tre partiti di maggioranza, compreso il suo, una risoluzione in Parlamento che pattina sulle uova senza dire nulla di netto.

Poi arriva a Bruxelles e piega il capo per dire Sì al piano di Ursula senza colpo ferire. In patria fa la riflessiva, ben sapendo che due terzi degli italiani non vogliono sentir parlare di soldati e armi da comprare; ma all’estero fa la docile esecutrice dei voleri dei paesi forti, che trainano il carro.

E allora per i partiti di opposizione sarebbe un gioco da ragazzi, basterebbe scoperchiare il trucco della propaganda e via. E invece no. Giuseppe Conte ha poco da urlare perché quando fu premier, alzò più di ogni alto suo predecessore la spesa in armamenti in rapporto alla ricchezza prodotta dal paese. Tanto che ad ogni suo sospiro in aula, i sodali di Giorgia glielo rinfacciano pe zittirlo.

Elly Schlein ha ancora meno margine di azione, tanto che usa la stessa arma di propaganda della sua rivale. Con grande sconforto di tutti quelli del suo partito (tendenza Prodi e Gentiloni) delusi dall’occasione persa, perché “con il governo senza una posizione in questo tornante della storia, potevi metterla alla berlina…e invece”

Invece, in un’intervista a tutta pagina, Elly Schlein strombazza una sfilza di conquiste sul fronte europeo, vantandosi di aver fatto deviare la rotta ai compagni del Pse sul piano di riarmo Ue, imponendo tutta una serie di caveat a suo dire recepiti nel documento ufficiale.

E viene da dire: caspita, quanto è stata brava la leader dei socialisti italiani, che gran forza di persuasione! E che argomenti! Che avrà tirato fuori la giovane Elly per piegare al suo volere politico dei tipi testardi come lo spagnolo Pedro Sanchez (che ha sdoganato il Rearm Eu al costo di fare i conti in casa sua con i comunisti della sua maggioranza); o il neo-leader della Spd, Lars Klingbeil, che avrà nel nuovo governo come punta di diamante il ministro della Difesa Boris Pistorius, detto “lo sceriffo” per la sua fama da duro e proprio per questo il politico più popolare in Germania; o ancora, il più influente di tutti al momento, ovvero il portoghese Antonio Costa, socialista e presidente del Parlamento Ue?

Andiamo a vedere: basta scaricare dal sito del PES, i socialisti europei, la Declaration: Stepping up efforts for European Security and Defence it, approvata il 20 marzo, cui fa riferimento la segretaria del Pd.

E si scopre non solo che pezzi interi della risoluzione del Pd alla Camera sono stati copiati dal documento del Pse, fatto circolare trra le varie delegazioni nei giorni precedenti; ma che la parte più rilevante non è stata inserita: quella in cui i socialisti europei dicono (al pari di Prodi, Gentiloni, Veltroni, Guerini, Picierno, Amendola e tanti altri) che il pacchetto Rearm Europe è solo un primo passo che necessita di maggiore ambizione e di essere abbinato a un programma completo per una difesa comune europea. Abbinato, non subordinato ad un programma per una difesa comune. Due cose differenti. Certo, ci sono concetti condivisi, nessuno nega che – come dice Schlein – vi sia la richiesta di investimenti comuni perché il documento parla di eurobond per la difesa.

Ma sul punto chiave, il Sì al piano di riarmo, il Pse dice una cosa e il Pd dice al contrario che va “radicalmente cambiato”, tanto che a Bruxelles i suoi europarlamentari non hanno votato il libro bianco e tutti gli altri socialisti Sì. E come si legge bene nell’incipit della Declaration del Pse, le due linee sono ben distinte: “L’UE deve urgentemente rivalutare la propria strategia per il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza collettiva”, non coincide con la tesi del Pd che prima vanno gettate le basi per una difesa comune europea.

E Giorgia? Come dicevamo, parte da Roma con la sicumera sfoderata nelle aule del Parlamento, “tra l’Europa e l’America io sto con l’I-TA-LI-A!”, con il tono di un “ve lo volete ficcare in testa?”. E arriva a Bruxelles la sera stessa, dove, insieme agli altri 27 capi di governo, vota Sì al Libro Bianco sulla Difesa, che contiene i principi del piano di Riarmo, un via libera sostanziale, in attesa che la commissione Ue indichi nel concreto quali strumenti i paesi potranno adottare: se grants, cioè finanziamenti della Commissione Ue, o bond, cioè titoli di debito comuni emessi ad hoc. Ma come che sia, il piano è sdoganato, con buona pace dei refrattari in patria e dei leghisti urlanti.

In fin dei conti, la fragilità delle due antagoniste della politica italiana è ben riassunta in un capitolo dell’ultimo libro di Tony Blair, On Leadership: “In politica estera quel che conta è la coerenza”.

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