L’assalto alla ricerca del presidente Trump tra fondi bloccati e recessione culturale

Il rischio di recessione scientifica e culturale è quanto mai imminente

Mauro Giacca
Mauro Giacca. Foto Silvano
Mauro Giacca. Foto Silvano

La scorsa settimana, in occasione del suo discorso al Congresso americano in seduta plenaria, il presidente Trump ha accusato la precedente amministrazione Biden di aver speso 8 milioni di dollari per generare “topi transgender”.

Uno svarione linguistico, si dirà, visto che il presidente del paese più potente al mondo certamente non può confondere il cambiamento di sesso né con gli importanti studi sull’effetto degli ormoni né con la generazione di animali transgenici, ovvero geneticamente modificati, uno dei pilastri della ricerca scientifica. Niente affatto.

“È tutto vero” ha ribadito Trump quando i suoi colleghi repubblicani sono scoppiati a ridere pensando a una battuta. E se non bastava, una dichiarazione ufficiale della Casa Bianca ha subito dopo risposto alla derisione collettiva sui social riaffermando il concetto dei topi transessuali, e definendo “perdenti da fake news” i giornalisti della Cnn che avevano ironizzato sull’episodio.

Poca cosa, si dirà, vista la relativa irrilevanza della cifra, se confrontata con i 47 miliardi di dollari che il National Institute of Health (Nih) investe nella ricerca (più di 25 volte del secondo grande finanziatore, la Wellcome Trust nel Regno Unito), o se comparata ai problemi ben più devastanti di Ucraina e Palestina, o alla guerra economica dei dazi che gli Stati Uniti hanno dichiarato contro il resto del mondo. Tutto vero.

Ma l’episodio è paradigmatico dell’approccio derisorio e supponente dell’amministrazione Trump nei confronti della ricerca scientifica, un approccio che rischia ora di mettere al tappeto quello che è il motore più potente al mondo in termini di scienza e tecnologia.

Quello di Trump è un vero e proprio assalto alla scienza. Quasi immediatamente dopo aver giurato come presidente il 20 gennaio, Trump ha firmato una serie di ordini esecutivi per cancellare o mettere in stand by decine di miliardi di dollari di finanziamento per la ricerca e la cooperazione internazionale, imponendo restrizioni di sapore orwelliano a studi relativi a sesso, razza, disabilità e altre simili caratteristiche tutelate.

Migliaia di ricercatori sono nel limbo mentre aspettano di avere accesso ai fondi loro regolarmente assegnati o a quelli congelati.

Tra gli impiegati federali che l’amministrazione sta licenziando ci sono anche quelli che amministrano la ricerca, in particolare in discipline relative alla salute pubblica, l’ambiente e la sicurezza sociale.

Tra queste il Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo che monitora la diffusione delle malattie, incluse quelle infettive, o l’NIH stesso, che è stato costretto a sospendere la valutazione delle nuove richieste di finanziamento in tutto il paese, di fatto penalizzando la nuova generazione di giovani ricercatori.

Di conseguenza, le università stanno iniziando a boccheggiare, visto che parte dei finanziamenti dell’Nih servono anche a coprire le spese di mantenimento dei laboratori e i salari dei ricercatori. A livello internazionale, l’amministrazione Trump ha già comunicato all’Organizzazione mondiale della sanità l’intenzione di ritirare i finanziamenti degli Stati Uniti, che ora rappresentano il 20% del budget dell’ente.

Trump ha anche cancellato il budget federale per i progetti internazionali sul clima, che ammontavano a circa 11 miliardi di dollari nel 2024, oltre a uscire dal trattato sul clima di Parigi del 2015. Il blocco al finanziamento della US Agency for International Development (Usaid) di fatto impedisce l’accesso ai contraccettivi a oltre un milione di donne in diversi paesi poveri in diverse parti del mondo.

Il 6 marzo scorso migliaia di scienziati sono scesi in piazza in tutto il paese in oltre 150 manifestazioni di protesta. Lettere che esprimono lo sconcerto della comunità scientifica stanno arrivando alla Casa Bianca da parte di tutte le società scientifiche e con la firma di decina di migliaia di scienziati, una settantina di premi Nobel inclusi. Ma non sembra che questo basti a cambiare l’atmosfera.

Pochi giorni fa Trump ha nominato alla guida dell’Nih Jay Bhattacharya, un economista in ambito sanitario già censurato per le sue dichiarazioni non ortodosse sul Covid-19 e le sue teorie sull’immunità di gregge. Se sarà confermato, risponderà a Robert F. Kennedy jr, il segretario dell’Us Department of Health and Human Services, che ha una lunga storia di attivismo anti-vaccini, incluso il supporto al concetto che i vaccini siano correlati all’autismo.

È difficile comprendere da dove venga tutto questo accanimento antiscientifico, considerando che la scienza americana è sempre stata per tutti un modello ben strutturato, meritocratico e competitivo, e gli Stati Uniti sono stati il motore propulsivo del progresso scientifico e tecnologico di cui tutta l’umanità ha finora beneficiato.

Il nuovo trend americano, peraltro, sembra quello proprio di tutti i populismi, inclusi quelli nostrani. Molti lo considerano il frutto di quello che in psicologia è un bias cognitivo: visto che non capisco bene una cosa, creo una mia propria realtà soggettiva, anche se questa non corrisponde all’evidenza. Qualunque sia la  spiegazione psicologica, il rischio di recessione scientifica e culturale è quanto mai imminente.—

  

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