Le pedine di un rimpasto indigesto

Se è vero che Giorgia Meloni è contraria al rimpasto di governo, forse dovrà farci i conti, prima o poi. E non è detto che Luca Zaia alla fine non entri in questa (ipotetica) partita

Carlo BertiniCarlo Bertini

Se è vero che Giorgia Meloni è contraria al rimpasto di governo, forse dovrà farci i conti, prima o poi. E non è detto che Luca Zaia alla fine non entri in questa (ipotetica) partita. Anche se tutto rema contro, a partire dall’idiosincrasia della premier allo spostamento di caselle del suo esecutivo. Ma il rischio che debba metterci mano dopo due anni e mezzo di cammino, cresce. Troppi sono i casi di ministri rimpiazzati al volo, per poter tirare dritti anche stavolta, se si tratterà di sostituire la titolare del Turismo. 

La regola ferrea seguita fin qui per non rompere gli equilibri con Lega e Forza Italia, quella che un ministro di FdI vada rimpiazzato con un altro “fratello” (come i casi Sangiuliano-Giuli e Fitto-Foti), potrebbe sgretolarsi strada facendo. Tanto per dirne una: il nome che circola come possibile sostituto di Santanché è quello di Gianluca Caramanna, manager di catene alberghiere, consulente della Santanché, ribattezzato “il ministro ombra”. Personalità stimata nel suo ambiente, deputato al secondo mandato e responsabile Turismo di FdI, poco noto però a livello nazionale. 

Il settore in Italia vale il 10 per cento del Pil e traina la nostra economia e forse richiede peso politico per essere guidato. La stessa Santanché, del resto, ha sempre beneficiato dell’influenza esercitata sul partito dal suo mentore, il presidente del Senato Ignazio La Russa, uno dei fondatori di FdI. 

In questa luce, si capisce forse anche meglio perché la premier sia indotta ancora a temporeggiare, malgrado il pressing delle opposizioni. 

«Cosa vuole fare Giorgia?» è la domanda che infatti ha circolato per ore nei Palazzi, quando alle note ufficiali in difesa di Santanché targate Forza Italia e Lega non ne compariva sulle agenzie una di Fratelli d’Italia. Silenzio totale pure dei parlamentari del suo partito. Circostanza che svela una forte presa di distanze dalla ministra. Pare infatti scontato che Meloni la farà dimettere: in fretta, fra qualche giorno, se il quadro lo richiederà; al più tardi a marzo se arriverà il secondo e più pesante rinvio a giudizio, quello per la truffa all’Inps. Anche perché dal torrino del Quirinale si leverebbe un fischio: «Game over». 

A quel punto forse la premier sarebbe tentata di procedere con lo stesso schema di mettere un esponente di Fdi al Turismo e chiuderla lì. Ma qualche grosso tronco potrebbe mettersi di traverso: dal vertice dei leader di maggioranza - che entro un mese dovrà sciogliere i nodi delle candidature alle regionali 2025 - potrebbe spuntare una candidatura condivisa per il Veneto, che non sia quella di un membro di Lega,di FdI o di FI, per evitare uno scenario di vincitori e vinti foriero di sicura sconfitta alle urne. Soluzione che dovrebbe esser gradita al governatore, pena la perdita del centrodestra. 

E la trattativa (forse tra Zaia e Meloni senza intermediari) potrebbe prevedere una ricollocazione del Doge ad alti livelli di governo. Si dice in un ministero di peso, che non sia il Turismo però. Ma per far questo, si dovrebbe scontentare Salvini (che i maligni sostengono non vorrebbe Zaia in Consiglio dei ministri) negandogli per giunta gli Interni; e Antonio Tajani, che da mesi è in fibrillazione. Un alveare pieno di vespe pronte a pungere, da cui si vedrà come la premier proverà a uscirne indenne, mettendo le caselle a posto senza far franare tutto.

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