Se gli Usa adesso dubitano di Trump
Di fronte al crollo delle borse e ai calcoli per motivare i dazi in molti iniziano chiedersi il perché delle scelte del tycoon

Adesso, soltanto di fronte al crollo generalizzato delle borse e di fronte ai calcoli cervellotici -per non dire insensati - esibiti da Donald Trump per motivare i dazi che già devastano le economie di quasi tutto il mondo, dalla Cambogia alla Lombardia, comincia a farsi largo qualche dubbio. I commentatori americani e internazionali e perfino qualche politico repubblicano iniziano a chiedersi se il presidente americano sia davvero capace di calcolare le conseguenze dei suoi atti, e di continuare a vincere.
Eppure fin dal momento in cui era arrivato, anzi tornato, alla Casa Bianca non erano certo mancati i segnali che quest’uomo dall’ego smisurato, anziano e vendicativo, stava imponendo al suo paese e al pianeta decisioni pericolose se non assurde.
Lo dimostra la scelta dei suoi ministri. Non tanto del no-vax Robert Kennedy jr. che sicuramente gode dell’appoggio di una parte importante della base di Trump, quanto ad esempio di Pete Hegseth, arrivato a dirigere la difesa statunitense - uno degli apparati più grandi e complessi del mondo - senza alcuna esperienza alla guida di grandi organizzazioni. Come stupirsi quindi che Hegseth e l’altrettanto inadeguato consigliere per la sicurezza Waltz siano caduti in uno scandalo grave e ridicolo insieme.
E poi, un esame attento del recente voto in Wisconsin perso con largo margine da Trump e Musk, e di quello in Florida vinto sì dai repubblicani ma con una fortissima perdita di consensi, fa capire che la politica di licenziamenti massicci dei dipendenti federali sta creando irritazione e paura in tanti, anche elettori tradizionalmente repubblicani, oltre a minacciare il funzionamento stesso di organizzazioni importantissime per la vita del paese. Cosa cui il presidente sembra del tutto insensibile. Per non parlare della guerra in Ucraina, sulla quale Trump oscilla tra il maltrattare Zelensky e il dichiararsi furioso (ma l’espressione era decisamente più volgare) con Putin al punto da minacciare sanzioni senza precedenti, salvo poi esentare la Russia - unico paese al mondo o quasi - dai dazi.
Di fronte tante a scelte incoerenti e perfino autolesive la domanda è: perché quasi nessuno pensava che Trump potesse pagare le sue assurdità? La prima risposta la si trova nella velocità delle sue mosse e nella convinzione diffusa che il partito repubblicano (e quindi la maggioranza del Congresso) lo avrebbe appoggiato sempre, protetto da una sorta di aura di invincibilità. Come se il fatto di essere nelle condizioni di poter prendere pressoché qualsiasi decisione bastasse a far sì che quelle decisioni non possano essere così insensate.
Una seconda spiegazione sta nella forza del cospirazionismo, un modo di pensare radicato nel suo elettorato pressoché impossibile da smentire: se per esempio qualcuno dimostra quanto siano antiscientifiche le tesi no-vax, si dirà che è pagato dall’industria farmaceutica o che i grandi media sono comunque prevenuti contro Trump e così via.
Perché questa situazione sia andata in crescendo ha anche molto contato la debolezza dell’opposizione democratica - che non si è ancora ripresa dal tardivo ritiro di Biden e dalla debole campagna di Kamala Harris -, molto divisa al suo interno e percepita da tanti come elitaria. Ora però a mettere in discussione la presunta invincibilità di Trump non è neppure la follia dei suoi calcoli, è Wall Street cioè quello stesso capitalismo americano di cui si presenta come il massimo difensore. È solo un segnale, ma inequivocabile: per la sfiducia parlano le cifre. —
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